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IL PROBLEMA DELLA LIBERTA' TRA ETICA E POLITICA - Filosofia

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7. DI CHE COSA SIAMO RESPONSAB<strong>IL</strong>I?<br />

La distinzione di diritto e morale e la graduazione (tra diritti giuridici e diritti morali)<br />

riconosciuta già nel primo ambito (quello appunto del diritto), è alla base della trattazione<br />

del tema cruciale della RESPONSAB<strong>IL</strong>ITÀ (cap. XV). Il problema della imputabilità degli atti<br />

compiuti (e dunque, dal lato soggettivo, la consapevolezza di una responsabilità<br />

personale) è alla base del diritto penale, e di qui Martinetti fa iniziare la sua trattazione.<br />

L’argomentazione segue un preciso disegno sistematico, che intende ricongiungere<br />

l’iniziale riconoscimento della necessità dell’agire (cap. VIII), con la finale riproposizione<br />

del problema del determinismo (cap. XVII). La responsabilità (sia quella giuridica, sia<br />

quella morale) contiene un implicito rimando al dovere razionale, in contrasto<br />

(kantianamente) con le inclinazioni passionali. Di fronte all’azione compiuta il soggetto<br />

(che se ne assuma la responsabilità), non può limitarsi a riconoscerne l’irrevocabilità<br />

(factum infectum fieri nequit), accettandone dunque le conseguenze, ma conserva in sé la<br />

consapevolezza razionale di un “dover essere altro” (L 369), rispetto al male commesso.<br />

Ora, il punto di vista “compatibilista” che Martinetti prende nei confronti del determinismo<br />

lo induce a sviluppare una strategia argomentativa, che salvi (per una precisa volontà di<br />

aderenza fenomenologica alla esperienza morale comune), accanto alla consapevolezza<br />

della necessità dell’agire empirico (che si sposa facilmente con una forma di determinismo<br />

naturalistico), l’opposta esigenza di un dover essere altrimenti della nostra volontà e libertà<br />

(Kant inseriva qui i suoi postulati morali: Dio, immortalità, libertà). Si deve cioè ricercare<br />

una forma di determinismo non più naturalistico, ma razionalistico (che si apre dunque su<br />

un orizzonte metafisico incognito), in grado di sopportare entrambe le esigenze. Quello<br />

che invece Martinetti tende ad escludere, è la possibilità che un tale “dover essere altro”<br />

possa esprimersi nel “gioco linguistico”, caratteristico del senso comune (e preferito dagli<br />

odierni compatibilisti), che si esprime nella domanda: “si sarebbe potuto agire altrimenti?”<br />

Egli lo esclude, e sostiene (col determinismo) che tale ingenua domanda si pone in netta<br />

antitesi con l’autentico sentimento della responsabilità. Il soggetto moralmente<br />

responsabile avverte tutto il peso della necessità dei propri atti (se è sincero con se<br />

stesso, arriverà facilmente a concludere che, qualora potesse tornare indietro nel tempo e<br />

ritrovarsi nelle identiche condizioni che hanno motivato la sua azione, non potrebbe che<br />

ripeterla). E tuttavia sente con altrettanta forza l’esigenza razionale di un diverso dover<br />

essere, che contraddice violentemente l’atto compiuto, che ne vorrebbe revocare (se non<br />

la realtà empirica) il senso, ricongiungendolo con un diverso piano ideale, che costituisce<br />

la destinazione finale (aperta su un futuro) del soggetto agente. Vediamo come si sviluppa<br />

l’argomentazione martinettiana.<br />

Che la RESPONSAB<strong>IL</strong>ITÀ LEGALE fosse meglio garantita dal determinismo, rispetto<br />

all’indeterminismo libertaristico, era opinione largamente suffragata dalla scuola positivista<br />

del diritto penale, le cui tesi Martinetti riprende nella prima parte del capitolo XVI:<br />

Un punto è fuori di dubbio: che la responsabilità giuridica non dipende affatto dall’aver potuto fare o non fare:<br />

anche i giuristi oggi quasi unanimemente riconoscono la questione della libertà come assolutamente<br />

irrilevante per il diritto penale, anzi meglio come un problema che per il giudice è provvisoriamente deciso<br />

nel senso del determinismo – senza che con ciò si voglia pregiudicare la questione metafisica. I collegi<br />

giudicanti condannano il colpevole non perché avrebbe potuto fare altrimenti (che anzi, se l’atto fosse una<br />

manifestazione contingente della personalità, mancherebbe ogni motivo di colpire questa con la pena), ma<br />

perché l’atto suo è casualmente connesso con una certa personalità, alla quale l’atto può venir ricondotto e<br />

sulla quale si intende agire con la pena. Nell’esame della responsabilità il giudice non indaga affatto se il reo<br />

possedesse al momento decisivo la facoltà di fare o non fare: egli cerca di risalire dall’atto alla personalità<br />

agente per determinarne la natura e il valore e per proporzionare a questo giudizio la reazione sociale<br />

(L 370).<br />

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