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Storia del Trapani I - Franco Auci

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con la recinzione vicina, fu una mazzata, tanto che alla sera volevo riprendere il<br />

treno per tornare a Bergamo. Confidai questa mia intenzione a Vincenzo, ma<br />

lui, ragazzo <strong>del</strong> Sud, mi convinse a rimanere e mi aiutò molto per farmi ambientare<br />

presto.<br />

Nel frattempo la squadra cresceva bene, l’amalgama tra vecchi e nuovi prendeva<br />

corpo e io cominciavo ad abituarmi al campo. Così passò il primo mese.<br />

Intanto in città, in vista <strong>del</strong>l’inizio <strong>del</strong> campionato, c’era un gran fermento perché<br />

la prima giornata prevedeva Marsala-<strong>Trapani</strong>. Negli ultimi anni per i colori<br />

granata il derby era stato molto spesso tabù e inoltre il <strong>Trapani</strong> non riusciva a<br />

vincere a Marsala da tanto tempo. Quando arrivò il gran giorno ed entrammo<br />

sul terreno per visionarlo, vedendolo grande ed erboso, dissi al mio impareggiabile<br />

amico Vincenzo: “Questo è il mio campo!”<br />

Dissi al Mister che giocando su campi grandi mi piaceva spaziare da sinistra<br />

a destra e avere palloni lunghi e rasoterra. Negli spogliatoi studiammo la tattica,<br />

che fu vincente. Infatti proprio durante un’azione d’attacco <strong>del</strong> grande Marsala<br />

un mio compagno intercettò il pallone e vedendomi a metà campo mi lanciò<br />

lungo e rasoterra; mi avventai sul pallone con uno scatto bruciante, il mio roccioso<br />

marcatore, che mi seguiva come un’ombra, rimase tagliato fuori, come<br />

l’intera difesa marsalese, e, presentatomi davanti al portiere che era uscito, lo<br />

feci secco con un rasoterra. E, pur rimasti in dieci, vincemmo la partita.<br />

Al rientro a <strong>Trapani</strong>, già prima di arrivare in città, c’era una marea di tifosi<br />

che ci aspettavano per festeggiarci. Io, senza sapere come, mi trovai sulle spalle<br />

di un tifoso che mi portò fino in sede, dove venne organizzata una grande festa<br />

che durò fino a tarda sera. Il giorno dopo, camminando per le vie di <strong>Trapani</strong>,<br />

capii che ero entrato nel cuore dei tifosi. Era bastato un gol. E quel gol cambiò<br />

anche la mia vita, perché ero diventato uno di loro: gioivo quando le cose andavano<br />

bene, ero triste quelle poche volte che andavano male. Ero diventato “Trapanese”,<br />

come mi chiamano abitualmente nella mia città, attaccato alla mia<br />

maglia granata. E, visto come molto spesso andarono le partite col Marsala<br />

anche negli anni successivi, divenni l’uomo-derby.<br />

A <strong>Trapani</strong> ho trascorso cinque anni meravigliosi e avrei mille cose da raccontare.<br />

Mi limito a ricordare un mio mancato trasferimento e la disgraziata<br />

partita di Chieti che vide svanire la B.<br />

Nell’estate <strong>del</strong> 1960 venne a trovarmi un grosso dirigente <strong>del</strong> <strong>Trapani</strong> il<br />

quale mi disse che era stato a Ferrara per definire alcune trattative con dei giocatori<br />

da portare giù e che, avendomi ceduto alla Spal, dovevo andare con lui<br />

per la firma <strong>del</strong> trasferimento. Dopo un paio d’ore prendemmo il treno per Milano,<br />

ma durante il viaggio mi confidò una cosa che mi fece stare male. Mi<br />

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