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La rassegna stampa di Oblique | marzo 2016<br />

La lingua dunque cambia, ciò che prima era invenzione,<br />

se non errore, può diventare regola e consuetudine.<br />

È nella natura delle cose, il risultato è che i<br />

nostri antenati parlavano latino, noi parliamo italiano.<br />

Perché allora resistiamo al cambiamento? Da<br />

dove viene, insomma, l’insofferenza diffusa davanti<br />

a nuove regole e nuovi termini? C’è lo snobismo,<br />

l’attaccamento a un prestigio in via di dissoluzione,<br />

certo. Forse c’è anche un elemento di conservatorismo<br />

politico: ci si oppone ai cambiamenti linguistici<br />

per la stessa ragione con cui si osteggiano le unioni<br />

civili o le liberalizzazioni.<br />

William Egginton, docente di lingua e letteratura<br />

spagnola alla Johns Hopkins, ha provato a interrogarsi<br />

sulle proprie reazioni infastidite davanti<br />

all’utilizzo eterodosso di pronomi e aggettivi, giungendo<br />

a conclusioni diverse. Da studioso di parole,<br />

sa benissimo che «alla lunga qualsiasi lingua è destinata<br />

allo stesso fato di quelle che l’hanno preceduta:<br />

evoluzione, trasformazione e alla fine estinzione».<br />

Eppure, scrive sul suo blog, quando sento Lady<br />

Gaga cantare «you and me could write a bad romance»<br />

mi fa accapponare la pelle.<br />

Come Steven Pinker, il linguista canadese allievo di<br />

Chomsky, anche Egginton sa che opporsi al cambiamento<br />

è un tentativo disperato. Ma a differenza<br />

di Pinker, che archivia il conservatorismo linguistico<br />

come «snobberia», non può fare a meno di<br />

pensare, irritato: non si dice «you and me», si dice<br />

«you and I». Non è da escludersi che un domani,<br />

non troppo lontano, «you and me» diventi una formula<br />

accettata in inglese, al pari del neo-sdoganato<br />

«their». Similmente, non è da escludersi che in un<br />

futuro più lontano l’inglese come lo conosciamo<br />

oggi non esista più, così come il latino non esiste<br />

più come lingua parlata. Ed è esattamente per questa<br />

ragione che Egginton rabbrividisce davanti al<br />

cambiamento: perché la grammatica che cambia ci<br />

ricorda che la lingua che parliamo è destinata, come<br />

noi, all’estinzione.<br />

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