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Palladino, il calligrafo che ispirò Steve Jobs<br />

Addio al monaco e professore a cui si deve<br />

la rivoluzione grafica di Apple<br />

Arturo Zampaglione, «la Repubblica», 7 marzo 2016<br />

sacerdote & calligrafo, c’era scritto sul suo biglietto<br />

da visita. Per tutta la vita, infatti, padre Robert<br />

Palladino, nipote di uno scalpellino emigrato<br />

dall’Italia per la costruzione della cattedrale di Santa<br />

Fe, e morto ora in Oregon a 83 anni, aveva coltivato,<br />

assieme, la sua passione per la scrittura e la sua<br />

fede cattolica. A 17 anni era già un monaco trappista,<br />

dedicandosi – nel silenzio della clausura – alla<br />

preghiera, al lavoro manuale e alla stretta osservanza<br />

dei cistercensi. Ma intanto studiava gli alfabeti, da<br />

quello fenicio a quello ebraico, analizzava le epigrafi<br />

greche e romane, e perfezionava l’arte antica della<br />

calligrafia: diventandone un maestro a livello internazionale<br />

e finendo per insegnarla agli universitari<br />

del Reed College di Portland. Tra quei giovani ce<br />

ne fu uno, nel 1972, il quale, pur in procinto di lasciare<br />

gli studi, rimase affascinato dalle sue lezioni:<br />

Steve Jobs.<br />

Il fondatore di Apple ha sempre ammesso il debito<br />

di gratitudine per Padre Palladino, che considerava<br />

un vero maestro: perché lo aveva aiutato a capire i<br />

segreti tipografici, a imparare l’eleganza dei segni e<br />

del design, e soprattutto a impostare il tipo di caratteri<br />

della casa di Cupertino.<br />

«Appresi da lui che cosa fossero i serif (i caratteri<br />

tipografici con grazie, ndr), quanto fosse importante<br />

lo spazio tra le lettere e come raggiungere la bellezza<br />

tipografica», disse Jobs nel 2005, parlando alla cerimonia<br />

annuale per le lauree dell’università di Stanford.<br />

«Fu una esperienza bellissima», aggiunse, «che<br />

mi portò a esplorare tematiche storiche ed estetiche<br />

in modo slegato dalla scienza e quindi fascinoso.<br />

Dieci anni più tardi, quando stavamo progettando<br />

il primo MacIntosh, quegli insegnamenti mi tornarono<br />

in mente. Così il Mac fu il primo computer ad<br />

avere bellissimi risultati grafici. E se non fossi entrato<br />

quasi per caso nell’aula di quel corso universitario,<br />

il Mac non avrebbe avuto le font (tipi di carattere)<br />

spaziate in modo proporzionale, che poi sono state<br />

copiate da Windows».<br />

Lui, Padre Palladino, pur orgoglioso dei successi del<br />

suo alunno più famoso, mantenne sempre un atteggiamento<br />

quasi distaccato. «Jobs? Era un ragazzo<br />

piacevole», si limitò a dire 3 anni fa in una intervista<br />

al «Catholic Sentinel». Non si degnò neanche di<br />

andare a vedere Jobs, il film del 2013 sulla vita del<br />

papà di Apple, in cui il ruolo del monaco-calligrafo<br />

veniva interpretato da William Mapother. E per<br />

tutta la vita non ha mai né usato né posseduto un<br />

computer: «Ho una mano, ho una penna, e mi basta<br />

così», ripeteva ai visitatori increduli, secondo quanto<br />

ha riferito il «New York Times».<br />

A dispetto della scelta religiosa e del paziente lavoro<br />

di calligrafo, secondo la tradizione millenaria,<br />

il maestro di Jobs era anche un personaggio a suo<br />

modo irrequieto. Consacrato sacerdote nel 1958,<br />

fu preso in contropiede dalle riforme del Concilio<br />

Vaticano ii e soprattutto dal tramonto del silenzio<br />

monastico, dei canti gregoriani e del latino. Così<br />

nel 1968 lasciò i Trappisti. «Non si può condurre<br />

una vita del genere se non la si ama fino in fondo»,<br />

commentò nella sua autobiografia: che non fu<br />

mai pubblicata (e che ovviamente fu scritta in bella<br />

grafia).

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