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Eco dopo la lectio magistralis, il compianto professore<br />

piemontese inizia rispondendo a una domanda<br />

sul web come terreno fertile per le bufale e fonte di<br />

informazione per gli studenti: «Il grande problema<br />

della scuola di oggi è come insegnare a filtrare le informazioni<br />

di internet, cosa che neppure i professori<br />

sanno fare, perché anche loro sono dei neofiti».<br />

A questo punto, il ruolo dei media intesi in senso<br />

tradizionale diventa cruciale per evitare quella che<br />

Eco chiama «la promozione dello scemo del villaggio<br />

a portatore di verità». Chi produce informazione<br />

giornalistica dovrebbe agire da filtro, verificando e<br />

rendendo semplici le informazioni necessarie alla<br />

comunità. In tal senso, si potrebbe dire che oggi un<br />

giornalista non è chi scrive o intervista in video, ma<br />

chi sa cercare, trovare e valutare le informazioni utili<br />

per il suo pubblico. Non semplici contenuti, ma<br />

strumenti di lettura della realtà.<br />

D’altro canto però si potrebbe sospettare che se il<br />

pubblico è composto principalmente da analfabeti<br />

funzionali, allora faticherà a riconoscere una bufala<br />

da una buona ricostruzione dei fatti, la qualità dalla<br />

spazzatura. Utilizzando una prospettiva simile,<br />

sembra impossibile uscire da questo circolo vizioso.<br />

Questa è a mio parere la questione fondamentale: in<br />

una società dominata dalle piattaforme social – che<br />

intrinsecamente spingono alla produzione di usergenerated<br />

content – e dall’analfabetismo funzionale,<br />

la qualità delle informazioni condivise tenderà ad<br />

abbassarsi. A chi parliamo? Cosa viene capito di<br />

quello che comunichiamo al mondo?<br />

Scenari futuri<br />

La portata e la diffusione dei media digitali è senza<br />

precedenti, e rischia di lasciare fuori dalla porta<br />

strutture educative tradizionali come scuola e famiglia.<br />

Internet e la cultura digitale devono essere<br />

insegnate prima ai professori e poi agli studenti se<br />

non vogliamo ritrovarci con un paese in grado di comunicare<br />

e di crescere. Chiunque dovrebbe essere in<br />

grado di saper usare la ricerca avanzata su Google,<br />

di scrivere una query di ricerca basilare, di conoscere<br />

l’Internet Archive o di valutare l’attendibilità di una<br />

fonte. Se non invertiamo la tendenza, il fardello che<br />

ci portiamo dietro non potrà che appesantirsi: anche<br />

per antitesi, la conoscenza si costruisce sempre sulla<br />

conoscenza che l’ha preceduta, come una casa costruita<br />

ponendo un mattone sopra l’altro.<br />

Per De Mauro e i ricercatori Isfol una soluzione può<br />

essere il lifelong learning: una formazione costante<br />

nell’arco della vita. Era una delle soluzioni indicate<br />

anche dal Parlamento europeo già un decennio fa,<br />

ma ancora i risultati non si vedono. Proporre test<br />

di alfabetizzazione come filtro all’accesso di posizioni<br />

manageriali potrebbe essere un’altra soluzione.<br />

Mentre test periodici consentirebbero di mantenere<br />

costantemente un buon livello di alfabetizzazione<br />

digitale.<br />

Innanzitutto dovremmo arrivare a un sistema di definizioni<br />

e standard internazionalmente condivisi, costantemente<br />

adattato ai cambiamenti della società. In<br />

Italia invece, inizierei con una cosa semplice: internet<br />

e cultura digitale nelle scuole. Negli Stati Uniti – altro<br />

paese messo male in quanto ad alfabetismo funzionale<br />

– Obama è intenzionato a stanziare 4 miliardi di<br />

dollari per l’insegnamento di Computer Science nelle<br />

scuole americane. A mio parere si tratta di una misura<br />

più di carattere economico che prettamente educativo.<br />

Se gli americani del futuro sapranno programmare,<br />

non significa che sapranno anche interpretare<br />

un’inchiesta del «Washington Post».<br />

L’Iea, una delle organizzazioni coinvolte nel rapporto<br />

Ocse più volte citato in questo articolo, pare<br />

aver individuato una possibile soluzione nell’individuazione<br />

di un altro tipo di alfabetizzazione:<br />

computer and information literacy. «Computer and<br />

information literacy combines information literacy,<br />

critical thinking, technical skills, and communication<br />

skills applied across a range of contexts and<br />

purposes». L’Informational Computer and Information<br />

Literacy Study 2018 ci darà un’idea di quello<br />

gli studenti mondiali sanno creare, investigare e<br />

comunicare usando il digitale. Le abilità tecniche e<br />

comunicative sono tanto importanti quanto lo sviluppo<br />

del pensiero critico nell’era digitale. Pur con<br />

tutti i limiti che una ricerca simile potrà avere, sarà<br />

un buon punto di partenza per chi dovrà riformare<br />

le scuole del futuro.<br />

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