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La rassegna stampa di Oblique | marzo 2016<br />
contare è quella che alcuni chiamano «la musica»<br />
della pagina; la sua coerenza interna, il ritmo con<br />
cui i personaggi respirano, si muovono, parlano, il<br />
rapporto tra i personaggi e il lettore. (Qui per evitare<br />
di scrivere groove ho occupato il triplo dello spazio.<br />
Ho fatto bene.) Interrompere questa musica con un<br />
«lei esclamò inorridita» è come spezzare un gessetto<br />
sulla lavagna. A meno che l’effetto desiderato non<br />
fosse proprio quello – a meno che la musica della<br />
pagina non fosse «artificio/rigidità/disarmonia» – io<br />
lo sto scrivendo sbagliato.<br />
La cosa del gioco sull’artificio<br />
L’unica ragione accettabile per inserire il doppiese<br />
in un romanzo è usare la non-lingua come segno<br />
dell’isolamento di un personaggio o di un narratore.<br />
Molto bene: chi è quel personaggio? Un italiano<br />
madrelingua che usa una lingua artificiale per tenere<br />
lontano gli altri? Uno straniero che ha imparato l’italiano<br />
guardando le repliche di Giudice Amy? Non<br />
ci sono altri modi di raccontare lo stesso isolamento?<br />
Se esiste anche solo un altro modo di raccontare<br />
l’isolamento, quello è il modo. Il doppiese si deve<br />
buttare via.<br />
Pensate a quando, per far passare il messaggio<br />
«cinque personaggi ipocriti chiusi nella falsità<br />
borghese», si decide di attribuire a tutti e cinque<br />
i personaggi la stessa gamma di gesti/espressioni:<br />
sguardi fissi, movimenti rigidi, lunghe pause, sorrisi<br />
tirati. Immaginate questa performance narrativa<br />
come una rappresentazione nello spazio visibile,<br />
che coinvolge, ad esempio, tutti gli attori in scena<br />
durante uno spettacolo. Quanto spesso, mano<br />
sul cuore e poteste morire, vi siete trovati davanti<br />
a uno spettacolo del genere e avete potuto dire<br />
con sicurezza «questo è un gioco sull’artificio e sta<br />
funzionando»? O anche solo «questa è una scelta<br />
precisa»? Quanto spesso, invece, è stata la scelta<br />
più rapida da parte di un direttore di attori che non<br />
padroneggiava il mestiere, o un trucco che funzionava<br />
in una commedia americana del 1988 ed è<br />
stato cooptato senza rendersi conto del divario allucinante<br />
tra ambizioni e soluzioni? Per connotare<br />
«interno giorno, ambiente borghese» è sufficiente<br />
A questo non diamo abbastanza<br />
importanza: l’atto di scrivere<br />
è un atto di traduzione in sé,<br />
perché è un atto di mediazione.<br />
che qualcuno si metta a suonare il pianoforte? No,<br />
vero? Quando in un film si mettono a suonare il<br />
pianoforte e nessuno dei personaggi fa il pianista<br />
o l’insegnante di piano, io cambio canale, perché il<br />
vero trash italiano per me è quello.<br />
(Nota a margine: il dibattito online sulla produzione<br />
letteraria italiana relativa al genere fantasy usa spesso<br />
l’espressione fantatrash. Guarda un po’, si parla di<br />
fantatrash per i dialoghi e per il linguaggio. I forti<br />
consumatori del genere possono accettare la relativa<br />
prevedibilità dei libri, ma non una prosa considerata<br />
scadente, derivativa.)<br />
La lingua è un fatto materiale<br />
Prendete una frase che avete letto in un’altra lingua.<br />
Provate a tradurla in italiano parola per parola.<br />
Prendete, ad esempio, «it’s too late to die young<br />
now». Parola per parola, diventa «è troppo tardi per<br />
morire giovane ora». Rileggetela. Cominciate a lavorarla,<br />
a riscriverla. Raggiungerete un punto medio<br />
accettabile e organico tra la lettera, quello a cui aspiravate,<br />
e la lingua italiana che ascoltate, vedete, vi<br />
sentite uscire dalle dita.<br />
A questo non diamo abbastanza importanza: l’atto<br />
di scrivere è un atto di traduzione in sé, perché è<br />
un atto di mediazione. Un passaggio tra ambizioni<br />
interiori e soluzioni materiali. Il punto di partenza<br />
può non avere nulla in comune con il risultato finale.<br />
A volte, se partenza e risultato sono irriconoscibili, è<br />
perché abbiamo perso la strada; a volte invece è perché<br />
abbiamo fatto un buon lavoro. Abbiamo sentito<br />
la storia, la lingua migliore con cui raccontarla. La<br />
materia ha vinto su di noi.<br />
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