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Il romanzo di Tabucchi che nessuno lesse mai<br />

Una studiosa ha ricostruito la sfortunata storia di Lettere a Capitano<br />

Nemo: scritto da giovane, respinto dagli editori e infine ritirato dall’autore<br />

stizzito, ne conobbero qualche brano solo i lettori di «Tuttolibri»<br />

Paolo Di Paolo, «La Stampa», 3 marzo 2016<br />

«Questa storia apparteneva a un romanzo che scrissi<br />

molti anni or sono e che poi buttai via»: così nel<br />

1991 Antonio Tabucchi presenta ai lettori un racconto<br />

della raccolta L’angelo nero. Il titolo è «Capodanno»,<br />

e l’origine della storia sta nascosta in<br />

un manoscritto riemerso fra le carte dello scrittore,<br />

conservate alla Biblioteca nazionale di Parigi. La<br />

vicenda editoriale di questo libro cancellato è stata<br />

ricostruita nel dettaglio da una giovane studiosa,<br />

Thea Rimini, che ne dà conto nell’ultimo fascicolo<br />

di «Filologia e critica».<br />

Il poco più che trentenne Tabucchi, che aveva alle<br />

spalle l’esordio del ’75 con Piazza d’Italia, pubblica<br />

due anni dopo sulla rivista «Il Caffè» il primo capitolo<br />

di un romanzo nuovo. Si chiama Lettere a Capitano<br />

Nemo, e intanto è in valutazione da Mondadori<br />

e da Einaudi. I primi pareri non sono incoraggianti:<br />

a parte l’eleganza della scrittura, i lettori editoriali<br />

non sembrano convinti. Se dal fronte Einaudi si<br />

rimprovera la costruzione di «memorie un po’ scucite,<br />

di intenzioni un tantino nebulose, di cattiverie<br />

accennate, di dolori abortiti», da quello Mondadori<br />

si invita lo scrittore a una maggiore leggibilità.<br />

Come a dire: possiamo pubblicarlo, ma attento, caro<br />

Tabucchi, a non diventare uno scrittore per pochi.<br />

La risposta – stizzita e fiera – non si fa attendere:<br />

«Nella specialità dell’alto grado di leggibilità la<br />

Mondadori possiede dei campioni in confronto ai<br />

quali resterei sempre un impacciato dilettante. Credo<br />

che sia più sensato, per mia buona pace, che io<br />

cerchi di assecondare il grado che più mi è naturale,<br />

senza pormi nessun problema». Non basta:<br />

la lettera è illuminante per la distinzione, solo in<br />

apparenza un po’ snob, tra «il romanziere» e «uno<br />

che scrive romanzi». «In realtà» spiega Tabucchi<br />

da Cascais, Portogallo, agosto 1978, in una lettera<br />

ad Alcide Paolini «io non faccio il romanziere, ma<br />

scrivo dei romanzi; e in questa situazione, diciamo<br />

più esistenziale che professionale, non mi sono mai<br />

posto il problema per chi o per quanti scrivo. Con<br />

tutta probabilità scrivo essenzialmente per me; cosa<br />

che suppongo succeda anche a coloro che fanno gli<br />

scrittori, anche se hanno in mente quando scrivono<br />

un pubblico ben preciso. Voglio dire che ogni scrittore<br />

guarda sempre a se stesso come al lettore ideale.<br />

Buon per coloro per i quali il sé stesso lettore coincide<br />

con tanti lettori. Oppure mal per loro, chissà».<br />

Il manoscritto rimbalza in altre mani: Piero Gelli<br />

lo valuta per Garzanti, Bompiani lo rifiuta; lo legge<br />

anche Vittorio Sereni. Ed è proprio Sereni – come<br />

risulta dal lavoro di scavo archivistico di Thea Rimini<br />

– a mostrarsi il più convinto sul percorso che<br />

porterà il giovane Antonio a diventare Tabucchi.<br />

D’altra parte, nota Sereni, sul solo criterio di «leggibilità»<br />

non si può costruire il futuro degli scrittori.<br />

Nemmeno si possono trascurare gli ostacoli obiettivi.<br />

Sereni li elenca uno per uno – è il dicembre 1978,<br />

sembra ieri mattina: «Indifferenza dei venditori e<br />

dei librai, politica generale fondata sulle previsioni<br />

del successo commerciale per un libro che raggiunge<br />

la sua onesta tiratura di 6, 7mila copie (non interessa<br />

agli effetti del fatturato eccetera)».<br />

Come uscirne? Sereni vuole provarci comunque, l’autore<br />

gli invia fiducioso una postfazione al romanzo,

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