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La rivoluzione nel nome della rosa che sconvolse il mercato editoriale<br />

La storia del thriller monastico di Umberto Eco, pubblicato<br />

nel 1980: dall’idea di una tiratura limitata di un migliaio di<br />

copie al successo mondiale<br />

Paolo Di Stefano, «Corriere della Sera», 16 marzo 2016<br />

In una lettera dell’11 marzo 1980, un Valentino<br />

Bompiani che si definisce «editorialmente felice»<br />

annuncia a Umberto Eco che ha finito di leggere il<br />

manoscritto del Nome della rosa: «Che il Suo libro<br />

fosse geniale era facilmente prevedibile; tuttavia lo è<br />

in un modo imprevisto». Non sono solo elogi sperticati.<br />

L’editore muove anche due appunti «marginali»<br />

che riguardano la parte iniziale e quella finale del<br />

libro. «Il sogno di Adso sembra un po’ lungo e insistito»<br />

e «un po’ lunga è anche la descrizione dell’incendio,<br />

non tutta utile». E aggiunge: «Minimissimo<br />

disagio di compiacimento erudito, i molti titoli di<br />

libri del catalogo». Segnala poi una «smagliatura»: la<br />

ripetizione di una parola dantesca a pagina 519. Eco<br />

seguirà il consiglio di scorciare qua e là l’inizio, ma<br />

non toccherà le pagine conclusive.<br />

Alcuni funzionari editoriali, ha ricordato Mario<br />

Andreose (allora direttore letterario), avrebbero voluto<br />

tagliare tra le 50 e le 100 pagine e soprattutto<br />

eliminare le citazioni in latino. Domenico Porzio,<br />

giornalista critico e funzionario di Mondadori, era<br />

stato tra i primi (con altri) a leggere il dattiloscritto,<br />

in amicizia e in segreto: Eco voleva un parere franco<br />

dall’amico, temendo che l’uscita di quel romanzo<br />

potesse rovinargli la carriera scientifica. Porzio lesse<br />

il libro e lo giudicò divertente: «Piacerà soprattutto<br />

nel mondo anglosassone». Anche lui consigliò di<br />

sfoltire le troppe discussioni in latino.<br />

Il 23 settembre, in una nuova lettera, zio Val, come<br />

Eco chiamava il suo vecchio editore, è ancora più<br />

entusiasta e dopo aver riletto il romanzo esprime la<br />

sua ammirazione per «il controllo e il dominio critico<br />

spinti fino ai gusti sofisticati». «Non sbaglierà mai?»,<br />

chiede ironicamente. Il romanzo sarebbe uscito di lì<br />

a poco, a metà ottobre, ma sulla sua fortuna nessuno<br />

avrebbe scommesso a occhi chiusi. Tanto meno<br />

l’autore, che prima di decidere di consegnarlo a zio<br />

Val aveva pensato a una tiratura di un migliaio di<br />

copie con un editore raffinato come Franco Maria<br />

Ricci, da distribuire per Natale agli amici e ai conoscenti.<br />

In realtà, l’antefatto è che quando si seppe<br />

in giro che Eco aveva scritto un romanzo, si fecero<br />

avanti Giulio Einaudi e Alcide Paolini della Mondadori<br />

e fu a quel punto che il semiologo-scrittore<br />

scelse di non tradire il suo editore storico. Accadde<br />

che le prenotazioni dei librai andarono oltre le previsioni,<br />

anche se qualcuno temette che Il nome della<br />

rosa sarebbe diventato un flop, diventando piuttosto<br />

«Il nome della resa».<br />

Nessuna resa, ovviamente. Eco non aveva sbagliato<br />

neanche il titolo, scelto in un ampio ventaglio di<br />

possibilità che andavano da «Delitti all’abbazia» a<br />

«Blitiri», un termine tecnico della logica medievale.<br />

Alle 80mila copie iniziali se ne aggiunsero subito altre<br />

20mila. È sempre Andreose a ricordare: «Nessuno<br />

aveva previsto quel che sarebbe accaduto. Il libro<br />

ebbe per Bompiani effetti collaterali enormi sia sul<br />

piano economico sia sul piano della visibilità e del<br />

prestigio internazionale, in un momento in cui l’astro<br />

di Moravia all’estero era in calo. Quando si cominciò<br />

a profilare il successo, il problema fu quello di comperare<br />

la carta, gestire le ristampe e tenere i contatti<br />

con gli editori stranieri». Non tutti dei quali capirono<br />

subito: «Parte degli editori del semiologo ebbero

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