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La rassegna stampa di Oblique | marzo 2016<br />

qualche riluttanza di fronte al narratore. François<br />

Wahl di Seuil, che aveva pubblicato i suoi saggi, disse:<br />

“No, Umberto, sbagli”, e lo respinse». In Francia,<br />

il romanzo sarebbe stato acquistato da Jean-Claude<br />

Fasquelle di Grasset, ma la decisione fu travagliata<br />

anche negli Stati Uniti, dove l’editore Harcourt se lo<br />

aggiudicò per la miseria di 6mila dollari. Il bilancio<br />

sarà di 47 traduzioni per un totale di circa 50 milioni<br />

di copie vendute ovunque.<br />

All’uscita del libro, il battage fu pressoché immediato<br />

e piuttosto inusuale per i tempi: lunga intervista<br />

a Laura Lilli sulla «Repubblica» il 15 ottobre,<br />

giorno dell’uscita, e un intero dossier, intitolato<br />

«Giallo antico», su «l’Espresso» pochi giorni dopo,<br />

il 19, con interventi multipli, tra cui quello di Maria<br />

Corti sull’«opera chiusa» e sulla «semantica a molti<br />

gradini». Fu ovunque un’esplosione di recensioni<br />

positive (molte), caute e negative (tra le poche<br />

quella di Geno Pampaloni, che consigliava a Eco<br />

di continuare a fare il filosofo): gli articoli, gli interventi<br />

critici, le discussioni crebbero con il crescere<br />

del successo.<br />

Il «Corriere», nell’inserto «Libri», arrivò soltanto il<br />

30 novembre, quasi snobisticamente dedicando le 5<br />

colonne d’apertura a un’antologia poetica di Giorgio<br />

Caproni, L’ultimo borgo, con una recensione di Giuliano<br />

Gramigna, e soltanto le due colonne di spalla<br />

a Il nome della rosa, con l’intervento di Antonio Porta.<br />

Tra un’importante raccolta di poesie e quello già<br />

salutato come «il romanzo dell’anno», ampiamente<br />

recensito dalla concorrenza un mese e mezzo prima<br />

– e nel frattempo divenuto oggetto di discussione<br />

nei maggiori quotidiani e settimanali –, il «Corriere»<br />

sembra non avere dubbi: prima viene la grande poesia<br />

contemporanea. Il premio Strega sarebbe arrivato<br />

dopo qualche mese e nel 1986 il film di Annaud<br />

avrebbe rilanciato la fortuna del bestseller. Vittorio<br />

Spinazzola su «l’Unità» aveva scritto, subito dopo<br />

l’uscita, che il romanzo di Eco andava valutato «innanzitutto<br />

sul piano dell’efficacia», cioè dalla sua capacità<br />

di avere consenso, perché per questo era nato.<br />

Vigeva comunque, in quel 1980, un’altra idea di<br />

giornalismo culturale, che noi oggi potremmo giudicare<br />

quasi archeologica e che in meno di un decennio<br />

avrebbe vissuto, grazie anche al caso Eco,<br />

una vera e propria rivoluzione, con la corsa al primato,<br />

all’esclusiva, all’anticipazione, all’anticipazione<br />

dell’anticipazione, alla complicità con la tv (che Eco<br />

volutamente evitava, considerandola controproducente<br />

per la promozione dei libri). A quei tempi<br />

solo «La Stampa» proponeva, nel suo supplemento<br />

culturale «Tuttolibri», le classifiche dei titoli più<br />

venduti, mentre il «Corriere» si limitava a fornire<br />

occasionali informazioni sul mercato editoriale affidandole<br />

a notizie d’agenzia o a brevi servizi privi di<br />

rilevanza scientifica. Il nome della rosa fu l’uragano<br />

che avrebbe aperto una nuova epoca del giornalismo<br />

culturale e della cultura editoriale.<br />

Il romanzo sarebbe uscito di lì a poco, a metà ottobre, ma sulla sua fortuna<br />

nessuno avrebbe scommesso a occhi chiusi. Tanto meno l’autore, che prima<br />

di decidere di consegnarlo a zio Val aveva pensato a una tiratura di<br />

un migliaio di copie con un editore raffinato come Franco Maria Ricci,<br />

da distribuire per Natale agli amici e ai conoscenti.<br />

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