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IL BORGO METAFISICO TRA MITO E REALTA’<br />
L’immagine è nitida, stagliante, il riflesso d’uno specchio: all’interno di essa un mondo si agita, vorticoso per quanto<br />
quella è immobile, irrazionale per quanto, all’apparenza, risulta razionale l’associazione di forme, colori, contorni.<br />
E la vita è quella, perduta, dell’infanzia come rifugio ancestrale dell’età della purezza come di un riposo cui la mente<br />
tende nel suo divenire anima, e l’anima nel suo divenire mente: ecco che l’immagine è diventata simbolo, e nel simbolo<br />
traspaiono due mondi vicini ed insieme distanti: Dante, da una parte, la mente; e dall’altra, l’anima, Petrarca.<br />
Nella pittura di Fabrizio Costanzo, ogni vita sottende un’altra vita; ogni realtà un’altra, che dà forza sulla prima proprio<br />
in quanto se ne allontana, come le case del borgo, motivo così tipico di molti suoi quadri, che s’assiepano una sull’altra<br />
e nello sforzo dell’unione-contrasto s’elevano verso il cielo.<br />
C’è appunto, qui, tutto il Trecento toscano: quello letterario e quello figurativo, quello politico-sociale e quello religioso.<br />
Da un lato, come detto, Dante e Petrarca, cioè la tensione razionale e la tensione spirituale, e dall’altro Simone Martini<br />
ed i Lorenzetti (con sullo sfondo, la spada piantata nella roccia: il vigore giottesco) cioè la tensione politico-sociale (si<br />
pensi al Cattivo Governo ed al Buon Governo di Ambrogio Lorenzetti, o a Guidoriccio da Fogliano del Martini) fra lotte<br />
di fazione e guerre dei vari borghi.<br />
L’assemblaggio di motivi, si magna licet, è notevole, ma non fa schermo alla nitidezza né all’intelligibilità di essi; semmai<br />
li fortifica, come elementi di un caleidoscopio gigante, sicché a trionfare sono gli accostamenti di colore, che nella<br />
loro perfezione sono come una scala musicale fra le dita abili e svelte d’un pianista.<br />
Ritornando al motivo del borgo, così carico di motivi simbolici, ci sembra che in questo l’arte di Costanzo meravigli per<br />
creatività: l’accostamento costante di reale e irreale, l’immersione in un mondo tutto favolistico in cui il rapporto uomonatura<br />
risulta scarnificato dei suoi elementi superflui, per apparire in una magica essenzialità, tutto questo, dunque,<br />
finisce con l’innalzare ideali da troppo tempo perduti – la purezza, la gioia di vivere con gli altri, il mistero della scoperta<br />
della natura – proprio mentre rifiuta una realtà edulcorata, che poi è quella del nostro tempo, nascosta dietro finzioni<br />
(l’immagine sfuocata al posto di quella nitida) e chiusa da un morbo oscuro (l’assenza di colore come rinuncia alla vita);<br />
ecco allora che quel borgo d’atavica memoria, il borgo “resuscitato” da Costanzo, non è vecchio di sei secoli, ma è<br />
nuovo: è il borgo del Duemila, è il distruttore di questa nuova preistoria (l’etichetta al nostro tempo è mutuata da Pier<br />
Paolo Pasolini) che fagocita e non crea, possiede ma non ama. Ma per distruggere, oggi più che mai, non c’è bisogno<br />
di violenze; ed infatti, lo dicevamo all’inizio, è nella serena immobilità che il borgo si erge – il silenzio superficiale di un<br />
mare tormentato – e la sua arma vincente è l’ironia che deforma qualsiasi legge e qualsiasi categoria dell’universo, per<br />
formare un nuovo linguaggio in cui prevalga, finalmente, il silenzio sull’inutile rissa di parole che la nostra società offre.<br />
Svelare verità? Offrire messaggi? O chiavi e formule terapeutiche? Sono queste le finalità della pittura di Costanzo?<br />
Chi può dirlo? L’ermeneutica, di un romanzo come di un dipinto, ha valore proprio in quanto non è mai unica, intoccabile<br />
come una regola matematica, ma varia al variare delle emozioni di chi entra in contatto con l’opera; e allora lasciamoci<br />
irretire, visto che non siamo più capaci di farlo, dalla meraviglia silenziosa della scoperta.<br />
Francesco Scrima / Universitas - Palermo, gennaio 1990