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FABRIZIO COSTANZO WORK IN PROGRESS 1

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L’ARMONIA <strong>IN</strong>VISIBILE<br />

La difficoltà di individuare tracce, se non nell’accezione di indizi, è nelle forme del nostro mondo isolano: esse si sono<br />

definite, e continuano a farlo, come sovrapposizione di equilibri precari che demandano ad altri e successivi equilibri la<br />

ricerca di un acquietamento, fino alle estreme conseguenze della interruzione del loro processo evolutivo, della sparizione<br />

fisica. Per questo parlo di indizi: perché è sempre quel che resta, o addirittura che sia rimasto nella memoria, a<br />

costituirsi come oggetto di attenzione e di propulsione vitale, di apertura per il futuro. Che l’indizio sia concreto e tangibilmente<br />

materiale o sia parte del nostro immaginifico ideale, forse poco importa: specie se esso è sinonimo di continuità,<br />

di quella scoperta espressiva che il Moderno compie sul passato. Come dimenticare Le Corbusier che rilegge il<br />

Partenone nell’associazione apparentemente insondabile con una potente automobile dell’epoca (inizi anni ’20 del secolo<br />

scorso): associazione scandalosa perché non esalta la meccanica avanguardistica in contrasto con il rudere, come<br />

nelle attuali pubblicità, ma l’analogia tra le due costruzioni, tra i procedimenti progettuali che esse sottendono malgrado<br />

la loro distanza temporale e forse grazie ad essa. Se questa distanza tende perciò ad annullarsi nel senso di una<br />

rinnovata continuità e se è questa a prevalere alla fine, perché allora insistere sulle tracce? E perché questo insistere ci<br />

viene dai due pittori Costanzo e Pintaudi? (…). Mi è capitato di confrontarmi spesso con la presenza di reperti archeologici,<br />

elementi vivi restituiti a un paesaggio diverso dall’originario (ma quale originario?) e come tali testimoni senza<br />

tempo prima che elementi di rappresentazione del loro tempo. Elementi restituiti alla natura dunque, come inevitabilmente<br />

avviene per qualsiasi edificio dell’uomo, tanto da far metaforicamente sostenere ad Auguste Perret che “gli architetti<br />

devono costruire belle rovine”, quasi che una qualità della forma progettata sia il presagio del suo divenire. Anche<br />

per questo non mi piace parlare di tracce se esse fissano e codificano il passato rispetto al presente… in fondo<br />

non mi emoziona l’eccesso di visibilità, convinto, con Eraclito, “che l’armonia invisibile è più forte di quella visibile”.<br />

Francesco Taormina / Tracce – Facoltà di Architettura - Roma, febbraio 2008

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