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Il Cielo dentro la memoria<br />
L’occasione è propizia per parlare di Palermo, ma soprattutto del suo bellissimo (anzi eclatante) spazio culturale consegnatoci<br />
dalla storia e filtrato attraverso i secoli. Santa Maria dello Spasimo s’identifica con la recente rinascita della<br />
città ma anche con il travaglio di cinque secoli di storia e di cultura locali.<br />
Oggi, il complesso è riemerso grazie ai lavori di restauro iniziati nel 1988 e rappresenta uno dei luoghi artistico-culturali<br />
di primo piano della città. Il visitatore che vi entra dentro è subito rapito da un senso di stupore che solo un luogo magico<br />
come questo può emanare; due sono i parametri imprescindibili che occorre considerare se si vuole analizzare la<br />
struttura architettonica (dopo avere tralasciato la meraviglia): la memoria e la reinvenzione. La prima ci riporta alla data<br />
del 1506, anno in cui il giureconsulto Girolamo Basilicò aveva fondato un monastero per i Padri di Monte Oliveto dentro<br />
il rione della Kalsa a Palermo. Nel 1573 la presenza dei pirati turchi che minacciavano la città indusse il vicerè spagnolo<br />
a potenziare le opere di difesa della città e, in tal modo, la vecchia cinta muraria costituita da torri e cortine venne<br />
rinforzata con grandi bastioni a forma pentagonale, uno dei quali ricadenti proprio nel luogo dove sorgeva il monastero<br />
degli Olivetani. Questi ultimi, di conseguenza, dovettero abbandonare la sacra struttura ed ebbero in cambio il monastero<br />
di Santo Spirito, fuori dalle mura, dove oggi sorge l’omonimo cimitero. In seguito, chiesa e monastero furono acquistati<br />
dal Senato palermitano e trasformati in magazzini. Nella chiesa, successivamente adibita anche a pubblico<br />
teatro, vennero eseguite sacre rappresentazioni. Arriviamo adesso al nocciolo della questione. Perché allora l’intero<br />
complesso conventuale (chiesa, ospedale e magazzini comunali) venne denominato Lo Spasimo? Il motivo affascinante<br />
risiede in un quadro che, nel 1516, il giureconsulto Basilicò aveva commissionato al grande Raffaello Sanzio per la<br />
chiesa costruita anni prima, intitolato appunto Spasimo di Sicilia. Il Vasari ci racconta le peripezie dell’opera rivelandoci<br />
che, durante il trasporto del quadro stesso, da Roma in Sicilia la nave naufragò subito dopo essere uscita dal porto;<br />
miracolo volle che il dipinto si salvò, imballato ottimamente e, galleggiando, attraverso le onde giunse a Genova. I Padri<br />
Olivetani, così, recuperarono la preziosa opera che venne finalmente collocata nella chiesa dello Spasimo. Quando,<br />
nel 1573 i Padri Olivetani si dovettero trasferire altrove per il motivo anzidetto, portarono via anche il quadro di Raffaello.<br />
Nel 1661, un certo Giovanni Dies volendosi procacciare il favore del viceré Ferdinando D’Ayala, approfittando di una<br />
situazione turbolenta ed in maniera alquanto scorretta, regalò il dipinto al viceré che a sua volta lo donò al re Filippo IV.<br />
Quest’ultimo, per disobbligarsi, promise quattromila scudi al convento e cinquecento al priore Staropoli, ma, furbescamente,<br />
il compenso non fu mai pagato. Le suppliche dei Padri Olivetani furono tante e durarono fino al XIX secolo.<br />
L’opera, ancor oggi, è in territorio spagnolo, esposta al museo del Prado di Madrid.<br />
In questo incredibile luogo ho assaporato il fresco di una caldissima mattina di agosto. Ho condiviso le sensazioni, gli<br />
odori, gli umori ma anche la storia, la memoria e le invenzioni dello Spasimo, consapevole del fatto che la perfezione di<br />
una architettura non scaturisce da una formula matematica, ma dalla magia della sua spazialità. La chiesa, concepita<br />
come luogo chiuso e con una sensibilità tardo gotica, oggi ha mantenuto il suo fascino e la sua coerenza, pur avendo<br />
modificato l’assetto strutturale di alcune parti (attualmente, infatti, è un luogo aperto o semiaperto e non ha la copertura).<br />
L’architettura cinquecentesca, sorge come una cattedrale nel deserto, adagiandosi sul tessuto urbanistico di un<br />
centro storico ferito e lacerato in più punti. L’intervento di Daniel Buren, artista di fama internazionale, è oggi il pretesto<br />
per parlare ancora una volta dello Spasimo. Il suo progetto (la reinvenzione – secondo parametro di analisi) intitolato A<br />
cielo aperto, lavoro in situ - ribadisce la vitalità del luogo con la conseguente capacità camaleontica di trasformarsi ma<br />
anche di adattarsi alla particolare visione espressa dall’artista francese. In verità il suo intervento, nel fittizio gioco di<br />
specchi, moltiplica i punti di vista da cui godere della bellezza del sito, coinvolgendo psicologicamente il visitatore che<br />
avvia un dialogo emozionale e fisico con tale spazio. Lo stesso accade, nella chiesa, per i pannelli colorati che contrastano<br />
significativamente (ma non violentemente) con le monofore, e per le bande metalliche in bianco e nero che ricoprono<br />
l’intradosso degli archi: in entrambi i casi è accentuata la lettura dei pieni sui vuoti della struttura, ma non è alterata<br />
la spazialità dell’insieme in cui il cielo entra dentro la memoria storica del sito. In conclusione, Palermo è viva e Lo<br />
Spasimo ne è la prova tangibile. La città si sta trasformando in un laboratorio artistico permanente ed efficiente e l’Officina<br />
delle Arti Contemporanee testimonierà, in futuro, lo sviluppo di un percorso culturale autonomo.<br />
Fabrizio Costanzo / Il Notiziario dell’A.I.A.M. (Roma) – Notizie dal Mondo dell’Arte - Ed. cartacea n°51 (gen./mar. 2001) - Ed. telematica dic. 2000