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DISCUSSIONI SU UNA MOSTRA<br />
Vorrei introdurre questa mostra con un’esperienza personale, apparentemente estranea all’evento in atto, un episodio<br />
che risale alla mia gioventù, quando, studente universitario qui a Palermo, lavoravo a Padova, interessandomi già da<br />
allora di teatro, musica e pittura.<br />
Una mattina di gennaio, affacciandomi alla finestra della struttura militare dove vivevo, vidi l’enorme piazzale sottostante<br />
(contornato da tre immensi palazzi) completamente deserto… e bianco per la neve che era caduta; un grande fazzoletto<br />
candido, meraviglioso, splendente della luce che v’incideva. Ad un tratto, da lontano, arrivò una jeep che fece un<br />
percorso ondulato, dolcissimo, che lasciò un solco su quel fazzoletto bianco. Con la mente, mi rifeci immediatamente a<br />
quella che era la poesia futurista, o all’arte Dada. Ma ciò che mi rimase di quell’esperienza (che non dimenticherò più)<br />
fu la traccia, il segno lasciato dall’automezzo. Bene, l’episodio appena raccontato – come potete facilmente intuire – è<br />
strettamente legato al titolo della mostra di Costanzo e Pintaudi e al significato che vuole avere la parola “tracce”, emblema<br />
del segno e del linguaggio. Perché il linguaggio nasce così, con un segno, un solco che i primi uomini fecero e<br />
che poi altri diffusero in tutto il mondo, ognuno con tracciati diversi, diventando linguaggio. Traccia appunto, nel significato<br />
latino di trascinamento, testimonia qualcosa che è stato trascinato, condotto in una certa maniera, rimasto come<br />
segno eterno di un passaggio, presenza, o anche, in maniera transitoria, che viene lavato dalla pioggia, dalle intemperie.<br />
Adesso v’invito ad immaginare la scena di un film dove le riprese, zumate rapidamente, partono da una stella lontanissima<br />
e si avvicinano ad una casa sulla terra; oppure, viceversa, considerate le riprese che partono dall’interno della<br />
finestra di una casa e conducono fuori con un movimento scenico velocissimo. Provate a vedere la terra dall’alto e ad<br />
osservarla improvvisamente in un arco storico che va dalle origini fino ai nostri giorni. Quanti segni e quanti disegni<br />
diversi di camminamenti sono rimasti sulla terra, che si sono sedimentati lasciando le tracce della nostra storia…<br />
Il segno e la traccia non sono altro che la storia di tutti noi, passato, presente e futuro.<br />
Il tema proposto da Fabrizio Costanzo e Francesco Pintaudi è complicatissimo ma estremamente affascinante: se voi<br />
riflettete su quanti significati ha la parola traccia, si potrebbe andare all’infinito. Dalle tracce di cui stiamo parlando, le<br />
orme, alle tracce che si vanno seguendo per andare a scoprire un assassino, alle tracce dei camminamenti di eserciti,<br />
di macchine, di una lumaca che lascia la scia…la scia sulla neve, come dicevamo all’inizio, la traccia di un film, le tracce<br />
delle analisi cliniche, la traccia di un impianto elettrico…Però, per sintetizzare, e per non parlare dell’infinità di tracce<br />
che si potrebbero lasciare, mi vorrei soffermare su due o tre tipi di tracce che hanno attinenza con il tema della mostra<br />
in atto e dell’arte in genere: traccia, in architettura e in ingegneria (uno è architetto e l’altro è ingegnere!) è l’ossatura di<br />
un progetto. In arte (e nello specifico del quadro) è lo schema, l’abbozzo, la sinopia, il disegno preparatorio di un progetto<br />
artistico… e potremmo andare avanti indagando su cosa sono le tracce nella loro professione e nell’arte, ma arriveremmo<br />
sempre ad una conclusione: segno e traccia si guardano vicendevolmente dicendo, l’uno, una cosa nel campo<br />
artistico, l’altra, una cosa nel campo della storia.<br />
Quali sono i punti di congiunzione tra un architetto ed un ingegnere che hanno due storie e due stili diversissimi e che,<br />
apparentemente, non hanno nulla a che spartirsi nella realtà tranne il fatto che, insieme, hanno allestito questa mostra<br />
che è la risultanza di un concetto unico?<br />
Nel modo di pensare di Francesco Pintaudi c’è una certa costruzione mentale che via via, nel corso degli anni, lo ha<br />
portato, da una serie di esperimenti simbolisti e metafisici, naturalistici o più recentemente concettuali e storici, ad un<br />
astrattismo informale, attuale, che è però il portato di un ragionamento in cui il segno si fa materia viva per raccontare<br />
la storia: questo è un po’ il ragionamento…ingegneristico e culturale di Pintaudi. Egli ha continuamente fatto una ricerca<br />
estetica di linguaggi diversi, anche se la componente, il denominatore comune è il cromatismo e l’impatto materico.<br />
Fabrizio Costanzo parte invece da una posizione totalmente diversa. Ha una sorta di stile fissato, preciso, che ha inventato<br />
in un certo momento e che ha seguito con fedeltà in tutto il suo arco artistico. Pintaudi racconta la storia, in<br />
Costanzo la storia s’infila nel suo segno partendo così da una concezione culturale che, nello specifico, lo lega molto<br />
alla pittura del Trecento. Se andate a vedere i grandi capolavori di Giotto, Simone Martini, i Lorenzetti… vi accorgerete<br />
che la prospettiva pionieristica di quei quadri è il modo di narrare le cose e le case soprattutto, l’aspetto urbanistico, lo<br />
sfondo in cui sono inserite le figure di San Francesco o di altri santi.