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FABRIZIO COSTANZO WORK IN PROGRESS 1

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Sulla soglia dello studio, una scritta, intagliata su una tavoletta di legno,<br />

illuminata da un piccolo lampione di rame.<br />

La camera di un segreto<br />

Se si obliasse tutto il resto, penserei d’essere finita dentro un vicolo della<br />

Palermo d’inizio secolo. Un piccolo paradosso spazio-temporale che m’introduce<br />

in un’impeccabile scenografia, pensata per accogliere e narrare,<br />

dove ogni singolo elemento, mai fuori fuoco, è parte del meccanismo di un<br />

orologio, ironico ed ambizioso, che scandisce un tempo rassicurante. Il ticchettio<br />

si percepisce appena, mentre lo sguardo assapora il puzzle immaginifico<br />

che lega insieme coppe e tavolette di versi, diplomi di benemerenza e<br />

tele vergini, cornici e pennelli, quadri e scatti un po’ sbiaditi, austeri nel loro<br />

bianco e nero, in cui eventi e volti e discussioni, fissati una volta per sempre,<br />

restano a futura memoria. Sublime nel suo silenzio, campeggia l’oro<br />

della Porta di Gerusalemme, di ritorno da un viaggio che l’ha riportata indietro,<br />

proprio là, da dove era partita. Un’altra storia…Alcuni spazi sono rimasti<br />

dolorosamente vuoti per molto tempo, dopo il furto di tredici opere, il sei<br />

gennaio del Duemila. Il tempo di elaborare un lutto non ancora guarito. Delle<br />

opere d’arte si appropria sempre il tempo. Non appartengono più al loro<br />

autore, che si consola tuttavia della loro distanza consapevole. Non così<br />

nello sguardo e del pensiero tolto. Il pittore si chiede dove vivano i suoi quadri<br />

rubati, e spera che la mano che li ha pretesi per sé, ne abbia una cura<br />

amorevole. In qualche modo attende il loro ritorno, per potersene separare<br />

nuovamente, ma stavolta senza rimpianto. E mentre l’artista, mette da parte<br />

la nostalgia, raddrizzando con soddisfazione - novello Peter Pan - il suo<br />

treno di legno, o mostra divertito lo spioncino ricavato sulla porta, con una<br />

veduta su La fonte del cielo, viene in mente di trovarsi dentro un gioco<br />

molto serio, di ricercatezza e passione per la bellezza, coinvolgente ed<br />

autentico.<br />

Dappertutto grossi lucchetti con chiavi rugginose. Un grammofono è fermo<br />

sul tempo sbiadito di un autore sconosciuto, e penne antiche e matite allegoriche<br />

ne scrivono lo spartito. Piccoli feticci, che irradiano energia, che<br />

accentrano significati. Ma ciò che più emoziona, perfetta nella sua semplicità,<br />

è la superba coloriera, il piccolo altare di legno di risulta, scuro e solido,<br />

che il pittore ha costruito con le sue mani, quale atto d’amore per i colori e<br />

la loro disciplina. Ad ognuno è riservato un trattamento d’eccellenza. Il Verde<br />

vescica, la Terra verde antica e di Pozzuoli, le ocre, preponderanti tra<br />

l’azzurro cobalto e i blu oltremare, si mescolano solo tra loro, altezzosi e fieri<br />

per avere dato la loro anima ai cieli, alle terre e ai mari notturni, dove grossi<br />

pesci dagli occhi cerulei, placidi e compassati, si guardano intorno con distacco.<br />

Dietro paraventi reali e immaginari, dietro i grossi volumi di storia<br />

dell’arte, si svela e si cela l’ultimo quadro ancora incompleto, l’ultimo messaggio<br />

da infilare nella bottiglia, prima di intraprendere un altro viaggio. Ogni<br />

oggetto-evento è una cartolina, un souvenir nella camera di un viaggiatore<br />

instancabile, reale e metaforico, che s’interroga intorno al vivere e al dipingere.

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