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Le diaspore africane tra due continenti Indagine sulle ... - CeSPI

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questa circostanza, al di là di un generale apprezzamento e interesse per l’iniziativa, emergono<br />

subito conflitti e discussioni sui tempi (troppo ristretti) e sui criteri di selezione (poco limpidi per<br />

alcuni) delle rappresentanza italiana. Da una parte l’Ambasciata possiede già diverse indicazioni di<br />

persone direttamente conosciute oppure messesi in luce at<strong>tra</strong>verso le loro attività e invita le<br />

associazioni e i rappresentanti di comunità presenti a eleggere in quella stessa giornata altri loro<br />

rappresentanti. Dall’al<strong>tra</strong>, questi soggetti della diaspora africana si ritrovano per la prima volta a<br />

discutere insieme e sentono la profonda esigenza di confrontarsi e selezionare i loro rappresentanti<br />

al termine di un processo necessariamente più lungo e articolato. Ne esce fuori un’impasse risolto<br />

at<strong>tra</strong>verso una scelta, percepita a seconda dei casi come più o meno arbi<strong>tra</strong>ria, di una ventina di<br />

nomi (dieci dal nord e 10 dal centro-sud) che comporranno la delegazione italiana che si recherà a<br />

Parigi delegando una propria rappresentante, Maria de Lourdes Jesus, a fare da portavoce alla<br />

delegazione.<br />

Possiamo, a questo punto, indicare schematicamente <strong>due</strong> principali blocchi di reazioni che alcuni<br />

degli intervistati hanno espresso rispetto alla Conferenza di Parigi e agli incontri che l’hanno<br />

preceduta. Da una parte vi è una critica al metodo e all’approccio politico dell’iniziativa, che non ha<br />

lasciato spazio alla riflessione e alla elaborazione comune di rappresentanti e di una piattaforma<br />

condivisa. Dall’al<strong>tra</strong> vi sono la presa d’atto dell’impreparazione della diaspora africana in Italia<br />

rispetto al processo proposto e i sentimenti di inadeguatezza rispetto al livello organizzativo delle<br />

<strong>diaspore</strong> residenti negli altri paesi europei:<br />

È un processo partito dall’alto, il basso ha reagito sparpagliandosi: ognuno ha detto “allora io creo la mia<br />

diaspora”! Se invece fossimo partiti dal basso, dalle associazioni esistenti, sia quelle di comunità che<br />

quelle <strong>tra</strong>sversali come Tam tam village e Kellam, forse poteva essere diverso. Non è un metodo<br />

democratico, con tutto il rispetto… Io il diritto di parola, alla partecipazione, a scegliere e a discutere lo<br />

vorrei mantenere. Non è che puoi arrivare e dare la poltrona a qualcuno che poi il resto della comunità<br />

non lo riconosce. Cosi fai un danno enorme alla comunità! Questi devono imparare a capire chi sono i<br />

loro interlocutori, le ambasciate non sanno niente della loro comunità, non offrono un cazzo, non sono<br />

punti di riferimento per noi. Ogni ambasciata deve avere rapporti veri con la comunità, fare delle<br />

riunioni, eleggere democraticamente i propri rappresentanti e a quel punto suggerirli all’Unione<br />

Africana. Consultazione, sentire, capire…(Int. 7 RM).<br />

In occasione dell’iniziativa promossa dall’ambasciata sudafricana e dei preparativi alla conferenza di<br />

Parigi, si è creato il problema di chi avrebbe dovuto rappresentare gli africani. La questione è stata posta<br />

nell’incontro preparatorio alla Cgil. La questione della provenienza rispetto a quali paesi dell’Africa per<br />

me è inaccettabile. È diventato un problema etnico... Mi ha fatto pensare: “ma è un progetto vero per<br />

l’africa o ci vogliono dividere, chi c’è dietro?”.<br />

Un’al<strong>tra</strong> bella esperienza è stata la riunione della Diaspora a Tripoli, eravamo quasi 2000 da tutto il<br />

mondo. Sembra che si sono creati 2 gruppi africani, Tripoli e Parigi (Int. 12 RM).<br />

Rispetto alla situazione italiana siamo molto indietro in confronto con le altre <strong>diaspore</strong> se consideriamo il<br />

processo innescato dall’Unione Africana. Quando siamo stati a Parigi potevamo soltanto ascoltare le<br />

lotte che fanno gli altri perché hanno strumenti per farle. Ci sono <strong>diaspore</strong> <strong>africane</strong> molto organizzate,<br />

con televisioni programmi televisivi etc. Ognuno ha portato la sua esperienza. Quello che è uscita da là è<br />

come fare un unico coordinamento in tutto questo (…) La proposta dell’Unione Africana ci ha colto tutti<br />

di sorpresa, perché le <strong>diaspore</strong> in Italia non si erano mai riunite per una riflessione sui contenuti e<br />

l’organizzazione (Int. 14 RM).<br />

Tuttavia, al di là delle critiche, anche giustificate, la valutazione complessiva risulta decisamente<br />

positiva. In molti sembrano aver apprezzato sia la valorizzazione, implicita ed esplicita, del ruolo<br />

della diaspora per il futuro dell’Africa, sia l’occasione fornita dall’intera iniziativa agli africani<br />

d’Italia per scuotersi dal torpore e dalle rivalità di bottega, e per darsi un’organizzazione se non<br />

unitaria almeno condivisa e efficace. Tutti o quasi finivano perciò per sottolineare la positività<br />

dell’imput partito dalle stesse istituzioni <strong>africane</strong> e per concordare sulla necessità di trovare modi,<br />

tempi e percorsi per realizzare un nuovo soggetto della diaspora africana.<br />

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