Le diaspore africane tra due continenti Indagine sulle ... - CeSPI
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da parte dei poteri pubblici e delle istituzioni, per favorire il maggiore protagonismo dei gruppi<br />
espatriati nelle relazioni internazionali e nei processi di cooperazione. Si evidenzia, perciò, la<br />
necessità di un processo di doppio riconoscimento della diaspora, nel paese d’origine come in<br />
quello di destinazione, le cui difficoltà costituiscono al momento un forte limite ad un’azione<br />
maggiormente incisiva nei paesi d’origine.<br />
Rispetto al concetto di diaspora è stato a volte sottolineato come non vi sia un’opinione condivisa<br />
su che cosa significhi essere e agire come “diaspora”, sul fatto che non tutti gli africani all’estero si<br />
ritengano parte della diaspora in quanto questo termine sembra presupporre un impegno attivo, o<br />
quantomeno una forte implicazione, verso il paese di provenienza. Vi sono dunque dubbi diffusi<br />
sulla pregnanza, la capacità inclusiva e rappresentativa di tale termine.<br />
Peraltro, non tutti gli intervistati hanno una visione fiduciosa, positiva e ottimistica del ruolo della<br />
diaspora per lo sviluppo dei paesi d’origine. <strong>Le</strong> barriere e le difficoltà sono di ordine diverso. In<br />
alcuni casi vengono chiamate in causa debolezze e limiti (sia considerando i singoli migranti che le<br />
associazioni) insiti e legati alla natura stessa della diaspora all’estero (disorganizzata, disgregata,<br />
non omogenea e concorde, troppo lontana e avulsa rispetto agli accadimenti in patria). In altri casi si<br />
fa riferimento alla debolezza dei processi <strong>tra</strong>nsnazionali, ossia a come l’essere promotori di<br />
cambiamento e sviluppo “a distanza” esprima limiti strutturali e procedurali che non vanno<br />
sottovalutati.<br />
Ciononostante, pur sottolineando le criticità esistenti, la grandissima parte degli africani interpellati<br />
erano molto consapevoli delle forti potenzialità di espansione e di consolidamento delle capacità e<br />
delle possibilità di azione da parte delle <strong>diaspore</strong> <strong>africane</strong>, a patto di darsi modalità organizzative<br />
più strutturate ed efficaci. La proposta di partecipazione e rappresentanza proveniente<br />
dall’Ambasciata del Sudafrica su mandato dell’Unione Africana, pur avendo colto impreparati e<br />
frammentati i gruppi africani in Italia, ha avuto il merito di sollecitare gli interessati, di acuire il loro<br />
senso di disorganizzazione e dispersione (anche in rapporto alle altre componenti diasporiche<br />
presenti in altri paesi europei) e, auspicabilmente, di incitare a nuove riflessioni e nuovi tentativi.<br />
Emerge però una chiara indicazione a questo proposito. Anche in presenza di buone dosi di volontà<br />
e spirito di appartenenza, anche in presenza delle migliori intenzioni di mobilitazione e intervento,<br />
persistono difficoltà vecchie e nuove sulla s<strong>tra</strong>da di un processo organizzativo e politico che<br />
consolidi l’identità e il ruolo della diaspora africana in Italia. Antiche e nuove rivalità <strong>tra</strong><br />
associazioni, divisioni <strong>tra</strong> diverse nazionalità, aree linguistiche, etniche e religiose, instabilità<br />
economica e giuridica e persistente sentimento di precarietà, mancanza di reti, sedi, risorse,<br />
organismi e siti Web (come evidenziato nel capitolo 4) per alimentare la discussione e ratificare le<br />
decisioni, e altro ancora, sembrano impedire di fatto un processo endogeno di auto-organizzazione e<br />
consolidamento che consenta ai diversi gruppi africani in Italia di darsi una piattaforma comune di<br />
azione, una articolazione federativa o consortile condivisa, una confluenza proficua di forze intorno<br />
ad obiettivi concordati e indirizzati al bene dell’Africa e degli Africani.<br />
In tal senso, è stata più volte avanzata una specifica richiesta di dialogo e co-partecipazione alle<br />
istituzioni italiane (in particolare la Cooperazione italiana e la Cooperazione decen<strong>tra</strong>ta) in<br />
direzione di un processo che, pur indirizzato e finanziato dall’esterno, restituisca agli Africani la<br />
possibilità di trovare una propria dimensione di confronto, di accordo programmatico e di<br />
organizzazione interna.<br />
Tale processo dovrebbe, a parere degli intervistati, puntare <strong>sulle</strong> élite <strong>africane</strong> esistenti,<br />
valorizzando non unicamente il tessuto associativo esistente ma anche le singole persone, con le<br />
loro competenze e qualifiche. Da parte dei migranti qualificati emerge una volontà di visibilità e<br />
qualificazione in quanto individui, ma al tempo stesso la consapevolezza della necessità di lavorare<br />
insieme, in reti, in partnership, con programmi e iniziative concrete in grado di motivare e<br />
aggregare le energie at<strong>tra</strong>verso una “leadership progettuale” all’interno di una dimensione di azione<br />
definita da uno stesso intervistato come “comunità di progetto”.<br />
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