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CAPITOLO SECONDO - Giovanni Marchetti - Sito web personale

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5<br />

au)th/n< tari¿xouj eu)po/rwj ga\r tugxa/nei<br />

eÃxousa kaiì su/nesti sape/rdaij dusi¿n,<br />

kaiì taût' a)na/ltoij kaiì platurru/gxoij tisi¿n.<br />

Pitionice ti accoglierà amichevolmente e, magari, ti mangerà i doni che ora hai avuto da noi; infatti è<br />

insaziabile. Ma comunque dille di darti le ceste di vimini; infatti le capita facilmente di avere pesci salati<br />

e sta con due saperde e per di più stupide e con la bocca larga.<br />

Nel frammento compare ancora il nome di Pitionice.<br />

Si conferma il giudizio di Timocle sulla voracità dell’etera non meno che la<br />

pesante definizione dei figli di Cherefilo (gli amanti) qui definiti saperde (come al<br />

fr. 15 “sgombri”) stupidi e di bocca larga.<br />

Se in quest’opera compaiono i satiri, è probabile che a parlare sia Sileno che ad<br />

un tempo esprime giudizi e offre indicazioni ad un ignoto personaggio che si reca<br />

ad Atene. E’ del resto possibile che lo stesso Sileno dia anche indicazioni di<br />

viaggio come sembra suggerire il successivo fr. 17.<br />

Dice Ateneo (VIII 339d) che Pitionice era golosa di pesce salato tant’è che aveva<br />

per amanti i figli del pescivendolo Cherefonte. Tuttavia penso che il passo si<br />

possa anche interpretare come un tentativo di Timocle di giocare su due piani, da<br />

una parte ironizzando sui personaggi di Pitionice e dei due figli di Cherefilo,<br />

dall’altra sottolineando indirettamente l’attività sessuale della prima, non meno<br />

della primitiva voracità dei secondi.<br />

fr. 17<br />

Tramandato da Ateneo VIII 342a, consta di cinque trimetri giambici con una<br />

lacuna ai vv. 3 e 4 e svariati problemi testuali.<br />

Anche per questa citazione (come per le due precedenti) Ateneo indica l’opera<br />

con il titolo æn ; Ikaríoij e, alludendo a Timocle, lo definisce ñ a÷tòj poihtÔj<br />

richiamando la definizione, utilizzata poco sopra, in relazione alla citazione della<br />

commedia DÖloj (fr. 4 K.-A.) e cioè ñ kwmikój.<br />

Si tratterebbe dunque di un indizio che permetterebbe di associare all’opera<br />

designata con æn ; Ikaríoij la definizione di commediografo per Timocle.<br />

Il passo è citato da Ateneo per comprovare la nota opsofagia dell’oratore Iperide.<br />

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