Ring 010 - Parliamo di Videogiochi
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:SPECIALE: <strong>Ring</strong>#10<br />
Quattroruote binarie e ricerca del reale: una storia<br />
E così nel 1974 le danze venivano aperte<br />
da Grand Track 10, con ogni probabilità<br />
il primo coin-op ad ospitare una riproduzione<br />
<strong>di</strong>gitale del binomio "donne e<br />
motori", ma senza le donne. Visuale dall'alto<br />
e allegria arcade, il prodotto Atari<br />
viene qui citato più per dovere <strong>di</strong> cronaca<br />
(e per aver dato il via all'illustre saga<br />
<strong>di</strong> Sprint) che per reali doti simulative.<br />
La serie Sprint detiene la palma<br />
d’oro per la numerazione più astrusa<br />
della storia dei videogiochi.<br />
Dopo Gran Track 10 e Gran<br />
Track 20 (versione a due giocatori<br />
<strong>di</strong> Gran Track 10), la corsa al<br />
numero continuò con Indy 800<br />
(multiplayer per otto persone e<br />
<strong>di</strong>splay a colori, annata 1975),<br />
proseguì nel 1976 con Indy 4<br />
(dove ‘4’ in<strong>di</strong>cava il <strong>di</strong>mezzamento<br />
dei possibili partecipanti umani)<br />
per approdare al delirio della serie<br />
Sprint. In Sprint 8 (uscito nel<br />
1976) i quattro tracciati potevano<br />
essere solcati da otto utenti. Nel<br />
successivo Sprint 2, dello stesso<br />
anno, si passava a due giocatori<br />
(più l’inserimento <strong>di</strong> un cambio a<br />
quattro velocità e la retrocessione<br />
della grafica a un sobrio bianco e<br />
nero). La follia arrivò a compimento<br />
tra il 1977 e il 1978, rispettivamente<br />
gli anni <strong>di</strong> uscita <strong>di</strong> Sprint<br />
4 (quattro giocatori) e Sprint 1<br />
(un solo giocatore e do<strong>di</strong>ci circuiti<br />
che si mo<strong>di</strong>ficavano ogni paio <strong>di</strong><br />
giri). Per le successive uscite del<br />
1986, Super Sprint e Championship<br />
Sprint, Atari lasciò fortunatamente<br />
la strada numerica,<br />
concludendo la saga con il futuristico<br />
Badlands.<br />
Il realismo è veicolato anche e soprattutto<br />
dal coinvolgimento visivo. Ligio a<br />
tale concetto Rob Fulop, designer della<br />
solita Atari, decise che era tempo <strong>di</strong> passare<br />
a una visione tri<strong>di</strong>mensionale della<br />
strada. La tecnologia del tempo, tuttavia,<br />
non permetteva prestazioni grafiche<br />
<strong>di</strong> rilievo, così l'ingegnoso Fulop decise <strong>di</strong><br />
ambientare Night Driver 1 quando il sole<br />
era oramai tramontato da un pezzo, più<br />
o meno all'ora della ronda del piacere.<br />
Rettangoli bianchi per delineare la sede<br />
stradale e sfondo nero come la pece,<br />
Night Driver riusciva a restituire una<br />
convincente sensazione <strong>di</strong> velocità. Era<br />
un test <strong>di</strong> riflessi camuffato, eppure la<br />
sua importanza storica è fuori <strong>di</strong>scussione.<br />
La visualizzazione pseudo tri<strong>di</strong>mensionale<br />
che prima era solo appannaggio<br />
dei prodotti elettro-meccanici veniva<br />
trasportata anche nel mondo dei videogiochi.<br />
E nell'oscurità ognuno voleva go-<br />
dere, col vento virtuale tra i capelli (virtuali).<br />
Speed Freak (Vectorbeam, 1979) fu<br />
l'ulteriore scommessa <strong>di</strong> designer in evidente<br />
lotta contro una tecnologia limitata<br />
e limitativa. Con vettori bianchi e<br />
schermo nero, il racing game si vestiva<br />
<strong>di</strong> vera tri<strong>di</strong>mensionalità. La ricerca della<br />
simulazione passava attraverso gli aspetti<br />
formali e lo avrebbe fatto ancora<br />
per molto tempo. Le leggi fisiche erano<br />
farlocche, l'intelligenza artificiale inesistente.<br />
Ma il terreno era vergine e deflorabile,<br />
bastava un petting nemmeno<br />
troppo spinto per raggiungere l'orgasmo<br />
videolu<strong>di</strong>co. Pole Position (Namco,<br />
1982) faceva ancora affidamento su estetismi<br />
<strong>di</strong> gran classe per attirare il maschio<br />
sbavante nonché masturbante.<br />
Una grafica <strong>di</strong> qualità inusitata contornava<br />
un'esperienza <strong>di</strong> F1 dove la vera novità<br />
era anticipata nel titolo: le prove <strong>di</strong><br />
qualifica. Per il resto il realismo si concretizzava<br />
nel solcare la riproduzione<br />
<strong>di</strong>gitale <strong>di</strong> un vero autodromo e in veicoli<br />
non proni a sopportare collisioni, esplodendo,<br />
com'era d'uopo in quegli anni, al<br />
minimo contatto con i concorrenti. Concorrenti<br />
che per altro continuavano a<br />
rappresentare mine vaganti in ogni gioco<br />
<strong>di</strong> guida. Privi <strong>di</strong> personalità e spirito<br />
agonistico, non facevano altro che girare<br />
su ritmi turistici o <strong>di</strong>rigersi verso il giocatore<br />
come api sul miele. Erano fasti<strong>di</strong>osi<br />
traghettatori verso la facile esplosione,<br />
quella che altrettanto facilmente permetteva<br />
<strong>di</strong> snocciolare una quantità <strong>di</strong> santi<br />
fino a quel momento sconosciuta alla<br />
maggior parte degli avventori della sala<br />
giochi, fruitore incluso.<br />
Il mondo <strong>di</strong>gitale era molto basilare, delimitato<br />
da netti confini. Negli anni '80<br />
mal sopportavamo una guidabilità priva<br />
<strong>di</strong> attriti oppure, molto più frequentemente,<br />
ci traslavamo come punti <strong>di</strong> una<br />
proiezione ortogonale. Schiavi della forza<br />
centrifuga, l'imperativo era appiccicarsi<br />
all'interno della curva il prima possibile.<br />
Non esisteva una traiettoria ideale,<br />
quel che contava era un inserimento<br />
tempestivo e subitaneo, in modo che la<br />
porzione <strong>di</strong> carreggiata da sfruttare fosse<br />
sufficiente per contenere il movimento<br />
verso l'esterno dell'auto. Con gomme<br />
fumanti degne del più esoso dei burnout<br />
e allegria <strong>di</strong>ffusa dei ven<strong>di</strong>tori <strong>di</strong> pneumatici,<br />
la fisica si vestiva <strong>di</strong> semplificazione,<br />
contrastata dai designer puntando<br />
sull'impreve<strong>di</strong>bilità. I cambi <strong>di</strong> <strong>di</strong>rezione<br />
a tra<strong>di</strong>mento non si contavano e i veicoli<br />
in pista continuavano a reiterare la filosofia<br />
<strong>di</strong> Pole Position. Il tanto applau<strong>di</strong>to<br />
Out Run (Sega, 1986), un vero capolavoro<br />
<strong>di</strong> classe au<strong>di</strong>ovisiva, è l'esempio<br />
più fulgido dell'arca<strong>di</strong>zzazione del concetto<br />
<strong>di</strong> guida. Cullati da note rilassanti<br />
si veniva illusi, grazie alle prime ampie<br />
curve, <strong>di</strong> essersi lasciati alle spalle il giogo<br />
<strong>di</strong> certi espe<strong>di</strong>enti lu<strong>di</strong>ci. Successivamente,<br />
tuttavia, i secchi tornanti, muniti<br />
<strong>di</strong> sali scen<strong>di</strong> che non permettevano <strong>di</strong><br />
scorgere né il traffico in arrivo né i cambi<br />
<strong>di</strong> <strong>di</strong>rezione, riportavano con i pie<strong>di</strong><br />
per terra e con l'auto fuoristrada: nonostante<br />
le forti vibrazioni trasmesse dal<br />
volante, la ra<strong>di</strong>o da sintonizzare su uno<br />
dei tre brani e la possibilità <strong>di</strong> scegliere il<br />
tragitto per giungere alle cinque destinazioni<br />
finali, la giocabilità era ridotta a un<br />
4<br />
test <strong>di</strong> riflessi e memoria dove la forza<br />
centrifuga era regina. Dopotutto Out<br />
Run era un capolavoro anche così, il<br />
celebre reparto interno <strong>di</strong> Sega, AM2,<br />
era arrivato laddove Atari non si era<br />
spinta: completare il connubio donne e<br />
motori in virtù <strong>di</strong> una bion<strong>di</strong>na precariamente<br />
avvinghiata al se<strong>di</strong>le passeggeri<br />
della Ferrari Testarossa in dotazione.<br />
Insomma, vento dei capelli e tanta poesia.<br />
Nello stesso anno WEC Le Mans 24 <strong>di</strong><br />
Konami dava il suo umile contributo alla<br />
causa: gli avversari in pista si producevano<br />
in errori e incidenti in<strong>di</strong>pendentemente<br />
dall'interazione con l'utente. Nulla<br />
<strong>di</strong> trascendentale per i giorni nostri, eppure<br />
scorgere in lontananza un prototipo<br />
in testa coda instillava la fuggevole sensazione<br />
che le auto controllate dalla CPU<br />
non fossero degli automi e basta. Erano<br />
degli automi stupi<strong>di</strong>. Tutto a un tratto ci<br />
si sentiva meno soli nella propria incapacità,<br />
e non era poco.<br />
Il calendario segnava 1987 quando i tre<br />
marmittoni Moran<strong>di</strong>/Ruggeri/Tozzi trionfavano<br />
a San Remo con Si può dare <strong>di</strong><br />
più. È improbabile che in Namco lavorassero<br />
fan della kermesse bau<strong>di</strong>ana,<br />
nonostante ciò il monito era internazionale<br />
e Final Lap ne interpretava lo spirito<br />
in senso quantitativo e qualitativo.<br />
Quattro cabinati messi in link per sfide<br />
fino a otto giocatori non rappresentavano<br />
sicuramente un evento or<strong>di</strong>nario. Non<br />
contento, Final Lap buttava nella mischia<br />
un modello fisico contemplante<br />
testacoda laddove si fosse chiusa eccessivamente<br />
la curva. In questo modo le<br />
traiettorie <strong>di</strong>ventavano più importanti e<br />
tutto l'approccio alla guida si mo<strong>di</strong>ficava<br />
2 .<br />
"E non puoi <strong>di</strong>re lascia che sia perché<br />
ne avresti un po' colpa anche tu", Namco<br />
non lasciò che fosse, contribuì all'evoluzione<br />
dei racing game <strong>di</strong>scolpandosi <strong>di</strong><br />
fronte al giu<strong>di</strong>zio della storia. E dei tre<br />
marmittoni.<br />
Intanto la battaglia per il realismo si<br />
protraeva cruenta anche al <strong>di</strong> fuori del<br />
tabagismo da sala giochi. Nelle case <strong>di</strong><br />
tutto il mondo, infatti…<br />
[1] Night Driver fece scuola. Pochi mesi dopo<br />
la sua uscita Midway commercializzò 280<br />
ZZZAP: stessa impostazione, stesse scelte grafiche.<br />
Plagio o coincidenza d’ispirazione?<br />
[2] Con ogni probabilità Final Lap passerà alla<br />
storia per l’infausta “annusata del deretano”. Il<br />
gioco Namco rappresentava uno dei rari casi in<br />
cui essere primi all’ultima curva con un avversario<br />
alle calcagna equivaleva alla sconfitta. Era<br />
sufficiente, infatti, che l’inseguitore si avvicinasse<br />
al posteriore della macchina che lo precedeva<br />
per mandarla in testacoda. Le sale giochi<br />
ancora riecheggiano <strong>di</strong> “Ma prego, passi<br />
prima lei” e “ Si figuri, non ho fretta”.