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Ho assistito a un’assemblea cittadina, tenuta nella palestra del<br />

“Marconi”, in cui si impedì di parlare a un esponente della<br />

Federazione giovanile comunista. Il meccanismo è semplice: i<br />

fascisti non devono parlare; ma i democristiani non sono altro che<br />

fascisti mascherati; ma i comunisti erano all’epoca alleati di fatto<br />

della Democrazia Cristiana, dunque anche loro andavano buttati<br />

fuori. Inutile dire che così si arrivava all’esclusione reciproca tra i<br />

vari gruppetti dell’estrema sinistra e l’assemblea si riduceva a<br />

monologhi ascoltati solo dai fedelissimi.<br />

In tutto questo io dov’ero? Cercavo di restare in contatto col<br />

“movimento” e di discutere con tutti, cercavo di organizzare<br />

gruppetti di studenti movimentisti ma più ragionevoli, cercai di<br />

promuovere un “movimento insegnanti” capace di collaborare col<br />

movimento studentesco ma in un rapporto autonomo e dialettico. Il<br />

tutto senza grandi risultati, tranne quello di restare per gli uni un<br />

pericoloso promotore di violenze, di essere per gli altri un fastidioso<br />

“moderato” (parola che all’epoca e<strong>qui</strong>valeva a un’offesa).<br />

Lo svacco<br />

Eppure ho visto, in quella generazione di adolescenti, un<br />

genuino sentimento di protesta, un interesse improvvisamente più<br />

diffuso per la società e per la politica; una voglia di capire gli<br />

sconvolgimenti che stavano succedendo nel paese e nel mondo.<br />

Alcuni di quei giovani erano animati da valori ben diversi da quelli<br />

che hanno trionfato poi: consumo, carriera, discoteca, divismo... Ma<br />

ho anche visto diffondersi un senso di frustrazione. Diceva una<br />

ragazza: «Abbiamo lottato e abbiamo visto che tutto è inutile». In<br />

realtà aveva preso parte a quattro o cinque cortei, ma a quell’età è<br />

facile giungere a conclusioni affrettate.<br />

A un anno dalla prima ventata di contestazione, il clima che<br />

percepivo nella scuola era di apatia. I miei entusiasmi rivoluzionari<br />

(che in realtà erano democratici, soltanto democratici si sarebbe<br />

detto allora) si trasferivano altrove. La scuola riprendeva<br />

stancamente i suoi rituali, incapace di reprimere, incapace di<br />

rinnovarsi. Priva della fiducia in sé stessa che poteva avere avuto nel<br />

vecchio ordine di cose. Tra i rituali c’erano adesso l’assemblea e lo<br />

sciopero. In occasione di un’assemblea la maggioranza degli<br />

studenti non era né nella propria aula né all’assemblea, si trascinava<br />

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