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L’epoca delle sperimentazioni<br />

Sperimentazioni assistite<br />

Ho trascurato fin <strong>qui</strong> di parlare del progetti di riforma generale<br />

della scuola secondaria di secondo grado infinitamente discussi negli<br />

anni settanta e ottanta. Molta carta, poche idee, nessuna volontà<br />

politica. A ogni fine di legislatura ne “decadeva” uno, e le legislature<br />

finivano spesso. Qualcosa si mosse per la scuola media, con una<br />

legge del 1977 e i nuovi programmi del 1979, anche se l’occasione<br />

fu malamente sprecata dall’amministrazione, ma per il “secondo<br />

grado”, nulla. O meglio, nulla sul piano legislativo: all’interno del<br />

Ministero fu un’epoca di grande fervore. Fioccavano i progetti di<br />

“sperimentazione assistita”: la Direzione Generale dell’istruzione<br />

tecnica elaborava nuovi modelli di orari e programmi, accompagnati<br />

da suggerimenti organizzativi e didattici, e i singoli istituti potevano<br />

farli propri in qualche corso. L’idea era di generalizzare<br />

progressivamente l’innovazione dopo averla sperimentata su base<br />

volontaria.<br />

I nomi erano fantasiosi. Quando stavo per lasciare l’ITC di<br />

Castel Maggiore arrivò il progetto “IGEA” per i ragionieri;<br />

seguirono a breve distanza “Erica” per i corrispondenti in lingue<br />

estere e “Mercurio” per i ragionieri-programmatori, poi ci fu quello<br />

per i geometri e quelli per i vari settori del tecnico industriale, con<br />

altre sigle suggestive o nomi mitologici, che ho dimenticato. In<br />

generale si cercava di avvicinare programmi vetusti alle esigenze del<br />

lavoro, contemporaneamente si rafforzava un po’ l’aspetto culturale<br />

generale (l’italiano, le lingue straniere), spesso riducendo le ore di<br />

esercitazioni pratiche e di laboratorio, questione delicata e<br />

ambivalente. Non si affrontava la questione strategica dell’istruzione<br />

secondaria, il solco che separa le diverse filiere, ma questo non era<br />

forse alla portata di uffici ministeriali. Era però loro responsabilità<br />

un pesante difetto comune a questi progetti: procedevano per<br />

addizione, aggiungendo o prolungando materie, dilatavano gli orari<br />

al limite delle 36 ore settimanali. Come se “più tempo a scuola”<br />

significasse di per sé “più istruzione”. I confronti internazionali<br />

hanno mostrato che questa correlazione non esiste.<br />

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