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affiatata e tenevano molto alla loro scuoletta; sapendo che stavo<br />

cercando di avere una sede meno lontana, mi invitavano a restare<br />

con loro, “si troverà bene”. Un posto a tavola restò vuoto per<br />

mezz’ora: il collega x restava “come al solito” chiuso coi ragazzi in<br />

un laboratorio a segare e martellare, non si accorgevano della fine<br />

dell’orario di lezione; la materia si chiamava “applicazioni tecniche”<br />

(maschili), era nel curricolo della scuola di “Avviamento al lavoro”<br />

che permaneva nelle classi seconde e terze, mentre la scuola media<br />

“unica”, appena istituita in forma “sperimentale”, riguardava solo le<br />

prime. Più tardi quella materia ha preso il nome più pomposo di<br />

“Educazione tecnica” ed è gradualmente diventata meno tecnica e<br />

più accademica: lezioni teoriche, niente chiodi e martello; è così<br />

stato distrutto l’unico spazio di manualità nella scuola del leggi-eripeti.<br />

Non è sparito invece il clima di comunità operosa e di<br />

dedizione al mestiere di insegnare che incontrai in quel gruppetto di<br />

colleghi; nel mezzo secolo seguente lo ho visto riaffiorare in diverse<br />

situazioni, certo non maggioritario ma più presente di quanto amano<br />

sentenziare autorevoli opinionisti (o ministri).<br />

Loiano<br />

Quel primo giorno di scuola fu l’unico in val di Sambro: come<br />

ho accennato, stavo brigando per ottenere una sede un po’ meno<br />

lontana. Chi mi precedeva in graduatoria aveva rinunciato al posto<br />

nella scuola media (anzi, di Avviamento) di Loiano, e lo ottenni.<br />

Loiano si trova sulla strada del passo della Futa, allora da poco<br />

divenuta secondaria dopo la costruzione dell’autostrada Bologna-<br />

Firenze; è un po’ più in alto sull’Appennino (700 m.), ma a solo 35<br />

chilometri da Bologna; chilometri di strada ripida e tortuosa, ma che<br />

si percorrono in meno di un’ora. A volte ci arrivavo con una corriera<br />

sulla quale in molti fumavamo, chi sigarette e chi toscani, d’inverno<br />

a finestrini chiusi, e non riesco a immaginare come si potesse<br />

respirare quell’aria pestilenziale. Spesso mi addormentavo lungo il<br />

viaggio, e venivo poi svegliato da un sonoro “Buongiorno<br />

professore!” delle bambine che salivano qualche fermata prima del<br />

paese, e si divertivano molto a vedere la mia faccia stralunata.<br />

Oppure salivo in Lambretta, e ricordo una mattina d’inverno che<br />

arrivai con otto gradi sotto zero, e quando entrai nel bar del paese,<br />

completamente irrigidito, non riuscivo nemmeno ad articolare “un<br />

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