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Io e l’università<br />

Maiuscola o minuscola?<br />

Per molti insegnanti l’Università è un faro, un oggetto del<br />

desiderio, il luogo eccelso in cui sentono che dovrebbero essere.<br />

Sono quelli, dice un mio amico, che dicono «l’Università» con nella<br />

voce la maiuscola.<br />

Io ho più o meno sempre bazzicato l’università (con la<br />

minuscola) di Bologna. Dopo la laurea frequentai per qualche tempo<br />

l’ambiente degli allievi di Luciano Anceschi, un vero maestro<br />

incontrato da studente. Collaborai con qualche recensione di critica<br />

letteraria alle mitiche prime annate del “Verri”, ma mi stancai presto<br />

di quell’ambiente di giovani aspiranti accademici e letterati<br />

rampanti, e cambiarono anche i miei interessi: cominciai a trovare<br />

noiosa la letteratura d’avanguardia, inutile al 90% la critica<br />

letteraria.<br />

Dell’istituto di Glottologia frequentai solo la biblioteca. Luigi<br />

Heilmann, che avevo incontrato al mio primo anno di università, mi<br />

aveva dischiuso gli orizzonti della linguistica del Novecento, poi<br />

fecondati dall’opera di De Mauro. Mi pubblicò su “Lingua e Stile”<br />

un articolo di grammatica generativa, piuttosto rudimentale nei<br />

metodi, ma uno dei primi che ne tentavano un’applicazione<br />

all’italiano. Il rapporto si fermò lì.<br />

Il Gran Rifiuto<br />

Negli anni settanta ero spesso all’Istituto di Pedagogia. Da<br />

Mario Gattullo imparai cose preziose per la ricerca didattica. Per<br />

Vittorio Telmon condussi qualcuno dei seminari in cui divideva il<br />

suo corso, come si era cominciato a fare dopo il sessantotto. Antonio<br />

Faeti mi fece tenere un paio di corsi serali. Avevo visto Telmon<br />

passare dall’istituto magistrale alla facoltà di Magistero e a un certo<br />

punto mi dissi: se vuoi arrivare all’università sai come si fa. Dedicati<br />

alla sezione bolognese dell’Associazione Pedagogica <strong>It</strong>aliana, scrivi<br />

articoli per riviste pedagogiche, lavora nei progetti collettivi di<br />

ricerca “del 40%”, fatti affidare seminari e tesi di laurea, fatti vedere<br />

tutti i giorni all’Istituto, renditi indispensabile. Ero fiero di aver<br />

finalmente capito qualcosa dei meccanismi di quell’istituzione, ma<br />

subito dopo mi dissi: non ho la minima voglia di fare tutto questo.<br />

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