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l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />

La «rivoluzione» del 13 e 14 apr<strong>il</strong>e<br />

di Gaetano Quagliariello<br />

Il 13 e 14 apr<strong>il</strong>e in Italia <strong>il</strong> Muro è definitivamente<br />

caduto. La rivoluzione del 1994 è arrivata<br />

a compimento. È maturata sul campo, attraverso<br />

alterne fortune e non poche difficoltà.<br />

È maturata nella coscienza dei cittadini italiani,<br />

che mai come questa volta hanno avuto la possib<strong>il</strong>ità,<br />

attraverso <strong>il</strong> voto, di rendersi artefici del<br />

proprio destino politico, scegliendo consapevolmente<br />

chi dovesse governarli e in base a<br />

quale programma, allontanando la prospettiva<br />

di coalizioni rissose ed eterogenee che rendessero<br />

quello stesso programma poco più di<br />

un catalogo di buone intenzioni.<br />

La lunga traversata che ci ha condotto a questo<br />

risultato - un primo fondamentale passo<br />

verso la modernizzazione delle istituzioni - è<br />

iniziata quasi quindici anni fa: <strong>il</strong> crollo del comunismo<br />

e le sue ripercussioni sul sistema politico<br />

italiano determinarono la situazione emergenziale<br />

nella quale S<strong>il</strong>vio Berlusconi discese<br />

Se la rivoluzione politica<br />

del 13 e 14 apr<strong>il</strong>e è potuta<br />

giungere a compimento, in<br />

qualche modo dobbiamo<br />

ringraziare anche Prodi,<br />

<strong>il</strong> suo dossettismo, <strong>il</strong> suo<br />

testardo tentativo di<br />

governare contro la<br />

realità di un Paese<br />

spaccato a metà.<br />

18<br />

politica<br />

in campo, mettendo insieme quello che insieme<br />

non immaginava nemmeno di poter stare:<br />

la Lega al nord e l’Msi al sud. Non a caso, i suoi<br />

stessi alleati di oggi.<br />

Si trattò di una improvvisazione fantasiosa e<br />

salvifica ma non indolore. Non c’era allora una<br />

classe dirigente all’altezza della sfida, e di<br />

questa carenza si pagò <strong>il</strong> fio in termini politici.<br />

In termini istituzionali, mancava invece un contesto<br />

che potesse sostenere l’uscita dal proporzionalismo.<br />

Tale situazione si è trascinata per anni: la<br />

transizione pareva non dovesse mai avere fine.<br />

Ma come spesso accade, <strong>il</strong> colpo di grazia<br />

si è abbattuto sull’ancien régime proprio grazie<br />

alla tetragona resistenza di quanti - a dispetto<br />

di ogni evidenza - non hanno voluto prendere<br />

atto del cambiamento. Se la rivoluzione politica<br />

del 13 e 14 apr<strong>il</strong>e è potuta giungere a compimento,<br />

dunque, in qualche modo dobbiamo<br />

ringraziare anche Romano Prodi, <strong>il</strong> suo dossettismo,<br />

<strong>il</strong> suo testardo tentativo di governare<br />

contro la realità di un Paese spaccato a metà:<br />

i due anni di straordinaria follia in cui l’Unione<br />

ha cercato di guidare l’Italia hanno fatto sì che<br />

si ponesse in termini di urgenza e di necessità<br />

<strong>il</strong> problema di dover scegliere tra un ritorno al<br />

passato pre-1994, quando a contare erano soprattutto<br />

i partiti, e una sfida rivolta al futuro,<br />

con l’obiettivo di superare i limiti di coalizioni<br />

rissose all’interno delle quali i partiti cercavano<br />

disperatamente di riguadagnare la forza che <strong>il</strong><br />

‘94 aveva loro sottratto.<br />

La terza fase della Repubblica ha avuto inizio<br />

da qui: dalla scelta obbligata di Veltroni di lanciarsi<br />

in una corsa (quasi) solitaria, e dal conseguente<br />

coraggio di Berlusconi di «tagliare»<br />

ambedue le ali, al centro e a destra, per presentarsi<br />

come partito a vocazione maggioritaria,<br />

rappresentativo di tutto <strong>il</strong> centrodestra. Con<br />

una differenza: se per Veltroni era improponibi-

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