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e un’importazione di risorse umane allo stesso<br />

modo gestita e non subita. E qui arriviamo<br />

al secondo punto fondamentale che dovrà<br />

caratterizzare la nuova politica industriale:<br />

individuare un’area di influenza sulla quale<br />

intervenire per poi poter importare manodopera<br />

qualificata. Potrebbero essere interessati<br />

ad un’operazione del genere i paesi<br />

nordafricani e quelli dell’Est europeo. Con<br />

queste nazioni sarà necessario studiare dei<br />

meccanismi di collaborazione imprenditoriale<br />

e formativa che ci consentano di vedere<br />

all’insieme dell’apparato non come la sommatoria<br />

di realtà diverse tra loro, ma come<br />

fosse un unico grande sistema industriale,<br />

ovvero quel «nuovo impero» al quale facevo<br />

riferimento in precedenza.<br />

Tutto ciò deve essere fatto avvalendoci delle<br />

potenzialità proprie di questi paesi, che potrebbero<br />

compensare i limiti del nostro, principalmente<br />

in 3 direzioni: grandi risorse naturali, situazioni<br />

non degradate per quanto riguarda<br />

l’impatto ambientale e costi di manodopera più<br />

bassi. Tutto ciò che in Italia manca o è diffic<strong>il</strong>mente<br />

reperib<strong>il</strong>e, noi lo possiamo trovare in<br />

questi altri paesi, con i quali inizieremo un percorso<br />

di partnership. Per fare tutto questo è però<br />

imprescindib<strong>il</strong>e organizzare, all’interno di<br />

queste nazioni, una formazione civica, umana<br />

e professionale, che consenta di importare manodopera<br />

e allo stesso tempo di regolamenta-<br />

l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à e c o n o m i a<br />

52<br />

re l’immigrazione. I due aspetti sono strettamente<br />

interconnessi: le delocalizzazioni sono<br />

l’unica vera risposta per dare lavoro nei paesi<br />

di origine a quei lavoratori che, avendo le capacità<br />

ed essendo competitivi nel costo della<br />

produttività, vengono in Italia perché <strong>il</strong> nostro<br />

paese non è stato capace di strutturare e incrementare<br />

la sua capacità di dare lavoro all’estero.<br />

In questa direzione sarà fondamentale una politica<br />

di formazione e realizzazione di posti di<br />

lavoro all’estero, specialmente nei paesi come<br />

la Romania, la Bulgaria, l’Ucraina e negli Stati<br />

nordafricani, che sono naturali partner di questo<br />

tipo di approccio. A suo tempo la Regione<br />

Lazio provò ad andare in questa direzione, ma<br />

si trattava di una politica regionale, quindi come<br />

tale poco credib<strong>il</strong>e e di piccole dimensioni<br />

rispetto al fenomeno. È necessario, se vogliamo<br />

ripristinare un corretto rapporto con quei<br />

paesi, far investire i nostri imprenditori in quelle<br />

aree, delocalizzando essenzialmente attività<br />

produttive manifatturiere.<br />

In questo modo sarà possib<strong>il</strong>e ristab<strong>il</strong>ire quell’equ<strong>il</strong>ibrio<br />

dei flussi migratori che negli ultimi<br />

anni è completamente saltato e che è alla base<br />

anche della convivenza civ<strong>il</strong>e fra i popoli.<br />

Oggi in Italia, ad esempio, viviamo <strong>il</strong> problema<br />

dell’immigrazione clandestina, ma allo stesso<br />

tempo si registrano le difficoltà degli immigrati<br />

regolari che hanno bisogno di case e scuole<br />

per i loro figli. Allo stesso tempo, nei paesi di<br />

origine degli immigrati c’è <strong>il</strong> problema opposto:<br />

non si trova più manodopera. I nostri imprenditori<br />

in questi paesi sono spesso costretti ad importare<br />

lavoratori dal Bangladesh, e questo è<br />

paradossale.<br />

Il fenomeno dell’immigrazione va gestito in modo<br />

diverso da come finora si è fatto. Per troppi<br />

anni si è pensato solo al riempimento di una<br />

sorta di «sacca» terza e distaccata dal mondo<br />

civ<strong>il</strong>e. È necessario al contrario prevedere dei<br />

percorsi di ingresso nel tessuto sociale, che<br />

devono essere gestiti non solo dalle forze dell’ordine,<br />

ma inquadrati in un piano di accompa-

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