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l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à e c o n o m i a<br />

La politica industriale<br />

tra delocalizzazione ed immigrazione<br />

di Pierluigi Borghini<br />

Il governo dovrà permettere al Paese di contare<br />

su una politica industriale seria e convincente.<br />

Non si può più temporeggiare: la classe<br />

imprenditoriale lo richiede a gran voce e<br />

tutta la società italiana ne ha fortemente bisogno.<br />

Approntare una politica industriale efficace<br />

non è però operazione fac<strong>il</strong>e. Un ottimo<br />

punto di partenza sarà comprendere l’importanza<br />

di due questioni fondamentali: la delocalizzazione<br />

delle imprese e l’importazione<br />

regolamentata di manodopera qualificata, individuando<br />

aree di influenza strategica sulle<br />

quali intervenire. Sono questi due aspetti r<strong>il</strong>evanti<br />

e strettamente interconnessi, che aiuterebbero<br />

le imprese italiane a guadagnare in<br />

termini di competitività in uno scenario internazionale<br />

sempre più complesso e concorrenziale.<br />

Come se ciò non bastasse, delocalizzare<br />

e importare manodopera qualificata<br />

sono due operazioni che avrebbero ricadute<br />

positive anche su altri aspetti della vita sociale<br />

dei cittadini. In primo luogo sulla gestione<br />

dell’immigrazione clandestina, che diventerebbe<br />

più fac<strong>il</strong>e e più rispondente alle effettive<br />

esigenze delle nostre aziende in termini di posti<br />

di lavoro vacanti.<br />

L’internazionazione produttiva ha da sempre<br />

costituito un’importante modalità attraverso<br />

cui le imprese si sono rapportate allo scenario<br />

internazionale. Alla luce della globalizzazione<br />

dei mercati e della spietata concorrenza,<br />

delocalizzare è ormai diventato addirittura<br />

imprescindib<strong>il</strong>e: è spesso un’esigenza vitale<br />

per la sopravvivenza dell’impresa stessa<br />

in uno scenario sempre più competitivo.<br />

Questo è vero anche perché, tramite gli investimenti<br />

diretti all’estero, è possib<strong>il</strong>e per<br />

un’impresa aumentare la propria competitivi-<br />

50<br />

tà con un più efficiente ut<strong>il</strong>izzo delle risorse e<br />

una maggiore prossimità con i mercati finali.<br />

In particolare è necessario favorire la delocalizzazione<br />

di tutte quelle attività che hanno<br />

nei costi energetici e ambientali, oltre che<br />

nella manodopera non qualificata, gli oneri<br />

essenziali del proprio lavoro. Questo significa<br />

ut<strong>il</strong>izzare risorse naturali, umane e ambientali,<br />

nei paesi che possono essere considerati<br />

- mi si passi <strong>il</strong> termine forte - «le colonie<br />

di questo nuovo impero».<br />

I numeri spiegano meglio di ogni altro discorso<br />

i vantaggi portati dalla delocalizzazione. È ut<strong>il</strong>e<br />

in proposito analizzare i dati del Rapporto Annuale<br />

Ice-Istat 2006-2007. Le imprese che investono<br />

all’estero hanno un tasso di crescita<br />

del fatturato in Italia di quasi <strong>il</strong> 10% maggiore di<br />

quello che avrebbero non investendo, e un aumento<br />

della produttività superiore al 5%. Questi<br />

effetti benefici, oltretutto, non si traducono in<br />

una perdita di occupazione in Italia. Se analizziamo<br />

gli ultimi dieci anni, notiamo come le imprese<br />

italiane abbiano già progressivamente<br />

aumentato la loro apertura internazionale: <strong>il</strong>

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