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storia<br />
In questi drammatici anni, le nazioni occidentali<br />
che si sono assunte <strong>il</strong> compito di affrontare<br />
una sfida terrorista di proporzioni inaudite e<br />
qualitativamente diversa dal tradizionale ricorso<br />
all’uso del terrore, si sono trovate di fronte a<br />
una duplice difficoltà.<br />
La prima era una difficoltà «prevista», quella<br />
legata al controllo dei territori nei quali si è sv<strong>il</strong>uppata<br />
e si sta sv<strong>il</strong>uppando quella che Norman<br />
Podhoretz, senza ipocrisie, ha definito la<br />
«quarta guerra mondiale», <strong>il</strong> conflitto asimmetrico<br />
condotto dai nemici dell’Occidente, di<br />
Israele e dei musulmani «apostati» - con la jihad<br />
e la disposizione al sacrificio personale degli<br />
shahid, i martiri; con attentati di tipo tradizionale;<br />
con l’espletamento della logica qaedista<br />
della rete transnazionale dei gruppi terroristici,<br />
liberi di agire «in franchising» nel nome di<br />
un leader carismatico - nei campi di battaglia<br />
strategici, dove la scelta è fra tentare un approccio<br />
democratico o finire sotto un sistema di<br />
controllo sim<strong>il</strong>e a quello esercitato dai talebani<br />
in Afghanistan fino al 2001.<br />
Come l’Iraq, dove David Petraeus, con <strong>il</strong> suo<br />
«surge», sembra aver ribaltato le sorti di una<br />
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
La sfida del terrorismo<br />
di Andrea Pannocchia<br />
71<br />
situazione che rischiava, dopo <strong>il</strong> fac<strong>il</strong>e successo<br />
bellico che aveva detronizzato Saddam, di<br />
trasformarsi in una disfatta nella gestione della<br />
pace e della riedificazione di uno stato democratico<br />
dopo decenni di feroce dittatura e di<br />
scontri tribali e interreligiosi. Ed è importante<br />
notare come alla base del «surge» ci sia un<br />
controllo più cap<strong>il</strong>lare e più accorto del territorio<br />
da parte delle truppe americane, capaci finalmente,<br />
come fa capire Daniele Raineri nel<br />
libello pubblicato da «Il Foglio», Il caso Petraeus,<br />
di accedere a una visione dell’intelligence<br />
meno legata alle tecnologie del sigint e<br />
dell’elint e più orientata verso la humint, la human<br />
intelligence, la capacità (ald<strong>il</strong>à dell’ambito<br />
meramente spionistico) di leggere la realtà del<br />
luogo, con scaltrezza e sensib<strong>il</strong>ità.<br />
La seconda difficoltà era forse meno prevedib<strong>il</strong>e,<br />
ed è legata ad alcuni meccanismi e paradossi<br />
della comunicazione, soprattutto di quella<br />
dei paesi occidentali, i cui processi produttivi,<br />
le cui logiche editoriali e - last but not least -<br />
alcuni sistemi ideologici, pregiudiziali e ascientifici<br />
ma ancora vincenti nella loro fac<strong>il</strong>ità propositiva<br />
(su tutti l’antiamericanismo e la cultura<br />
del politically correct) hanno creato e continuano<br />
a creare notevoli difficoltà interpretative circa<br />
la natura della posta in gioco e la pericolosità<br />
di un neoterrorismo più incontrollab<strong>il</strong>e (perché<br />
non legato unicamente a interessi geostrategici<br />
di alcuni Stati), più diffic<strong>il</strong>e da contrastare<br />
(perché affidato alla volontà di martirio di un<br />
lumpenproletariat musulmano conquistato nei<br />
decenni scorsi, fra le sottovalutazioni di tutto<br />
l’occidente, alla predicazione dei Fratelli musulmani<br />
e poi del nascente qaedismo, nato nel<br />
1998 ma in realtà battezzato nei campi di battaglia<br />
dell’Afghanistan del 1979, quando a<br />
combattere contro i sovietici stavano assieme<br />
sauditi, marocchini, algerini in una sorta di in-