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tropologica, <strong>il</strong> bipartitismo tendenziale non si<br />

addice all’Italia.<br />

Il problema si pone innanzitutto a sinistra, dove<br />

nel Partito Democratico c’è chi, in modo addirittura<br />

sfacciato, sta attendendo Veltroni al guado.<br />

Per questo, ad esempio, D’Alema si sta interessando<br />

tanto a ciò che accade in casa di<br />

Rifondazione. Dopo la sconfitta di Roma, se alle<br />

europee <strong>il</strong> Pd non riuscisse a riproporre <strong>il</strong> potenziale<br />

d’aggregazione elettorale che ha saputo<br />

sv<strong>il</strong>uppare in occasione delle elezioni politiche,<br />

Veltroni verrebbe assai probab<strong>il</strong>mente<br />

esautorato e assieme a lui, anche <strong>il</strong> tentativo di<br />

fare del Pd un partito a vocazione maggioritaria,<br />

all’interno di un sistema tendenzialmente<br />

bipolare e centripeto.<br />

Se questa è la posta in gioco, non si comprende<br />

bene per quale ragione <strong>il</strong> rispetto delle peculiarità<br />

istituzionali dovrebbe automaticamente<br />

tradursi nel concedere a forze da prefisso telefonico<br />

la possib<strong>il</strong>ità di accedere alla rappresentanza,<br />

vanificando in tal modo l’occasione<br />

che abbiamo di fronte.<br />

Una transizione, in fondo, post-comunista<br />

l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />

Si pone, in questo stesso solco, <strong>il</strong> problema di<br />

quale rapporto sv<strong>il</strong>uppare con <strong>il</strong> principale partito<br />

dell’opposizione nell’ambito di una legislatura<br />

che si vorrebbe costruttiva e, soprattutto,<br />

«costituente». All’indomani della vittoria capitolina,<br />

infatti, quando è stato chiaro che <strong>il</strong> PdL<br />

non aveva vinto ma stravinto, di fronte allo<br />

schieramento maggioritario nel Paese si è<br />

aperto un bivio: sfruttare fino in fondo la vittoria<br />

conseguita, per dotarsi attraverso nomine e or-<br />

20<br />

politica<br />

ganigrammi di tutta la forza funzionale ad un’azione<br />

di governo tanto incisiva da configurarsi<br />

come un’autentica rivoluzione; oppure affrontare<br />

i cinque anni di lavoro che ci aspettano con<br />

l’intento di cambiare davvero <strong>il</strong> volto dell’Italia,<br />

ponendo mano ad una efficace riforma dello<br />

Stato, ma anche - e soprattutto - instaurando<br />

nel Paese un clima differente.<br />

In quest’ottica, è bene non dimenticare che le<br />

transizioni post-comuniste riuscite sono quelle<br />

nelle quali si è stati in grado di coinvolgere<br />

nella nuova stagione anche una parte delle<br />

vecchie classi dirigenti. Ciò non vuol dire cedere<br />

all’inciucio, e tanto meno avere tentennamenti<br />

o sudditanze psicologiche nello scoperchiare<br />

gli ultimi sepolcri imbiancati del<br />

vecchio regime. Significa, piuttosto, che accanto<br />

a un’azione di rottura è necessario al<br />

contempo svolgerne un’altra di tessitura e di<br />

tenuta nell’interesse del Paese. E, dunque,<br />

saper coinvolgere, sulla base del merito e<br />

della competenza, anche energie che non<br />

appartengono alla propria parte. Bisogna che<br />

si prenda atto insomma, che in Italia la classe<br />

dirigente è un bene scarso e che se si riuscirà<br />

a fissare un quadro di principi condivisi<br />

sono possib<strong>il</strong>i collaborazioni leali, senza<br />

concedere nulla all’opportunismo e tanto meno<br />

al trasformismo.<br />

Allo stesso modo, è necessario che <strong>il</strong> centrodestra<br />

rivendichi come proprie vittorie le svolte<br />

culturali che <strong>il</strong> Pd ha maturato nel suo ultimo<br />

programma elettorale (si pensi alle prese di posizione<br />

su fisco e pubblica amministrazione), e<br />

sfidi l’opposizione a tener fede alle promesse,<br />

votando insieme alla maggioranza laddove<br />

questo sia consentito dai rispettivi programmi.<br />

Infine, e solo infine, verranno le riforme istituzionali<br />

condivise. Se questo percorso troverà<br />

compimento, esse deriveranno come conseguenza<br />

obbligata. È questa la vera scommessa.<br />

Se la si vincerà, anche l’Italia potrà essere<br />

annoverata tra le transizioni riuscite, assieme a<br />

quelle altre transizioni post-comuniste che s’inaugurarono<br />

in date non distanti da quel fatidico<br />

1994 e che proprio in questi anni stanno ultimando<br />

<strong>il</strong> loro corso.

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