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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Terzo</strong><br />
Non ero geloso né scandalizzato per le sue<br />
confessioni intime. Non potevo esserlo: ci<br />
conoscevamo da troppo tempo. Ciò che davvero mi<br />
metteva a disagio era la sua solitudine, ma non riuscii<br />
a immaginare quanto fosse tremenda.<br />
Ero il suo confidente. Discreto e sicuro, perché<br />
sapeva che non avrei mai fatto alcun cenno ad anima<br />
viva. Comprensivo, perché le offrivo la parola giusta<br />
proprio quando lei se l'aspettava.<br />
Le sue confessioni non erano mai dirette, non<br />
sembravano premeditate. Era capace di discorrere di<br />
argomenti futili (almeno dal mio punto di vista) per la<br />
serata intera, per scivolare all'improvviso sull'intimo,<br />
approfittando di una liaison involontaria o di una<br />
associazione di idee in apparenza casuale. Cercavo di<br />
cogliere questi momenti e di farle capire che li avevo<br />
fatti miei. Scorgevo allora nei suoi occhi un lampo di<br />
fuoco antico, un risveglio di fiamma rimasta sopita<br />
troppo a lungo sotto la cenere del vuoto quotidiano.<br />
Di rado mi azzardavo a darle consigli. Per lei era<br />
comunque sufficiente sapere che partecipavo alle sue<br />
emozioni più intime. Le serate trascorrevano con<br />
velocità imprevedibile, ogni cena aveva il sapore della<br />
prima volta. Tranne il giovedì.<br />
Dopo una settimana smettemmo di darci<br />
l'appuntamento. Ci ritrovavamo al medesimo tavolo,<br />
sempre alla stessa ora, per accordo tacito.<br />
Durante il giorno non mi chiamava mai, né in ufficio<br />
né sul cellulare. Nemmeno io la chiamavo. Del resto,<br />
non avevo nulla da dirle. La sera, invece, eravamo<br />
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