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Benchmark Generazione multitasking: cosa ci succede davvero facendo più cose insieme Chi ha già una certa età ricorderà <strong>la</strong> sua “prima volta” al<strong>la</strong> tastiera <strong>di</strong> un computer. A me è successo verso <strong>la</strong> fi ne degli anni ‘80. Fin lì avevo sempre usato <strong>la</strong> mia vecchia “lettera 35”. Martel<strong>la</strong>ndo sui suoi tasti avevo scritto con quel<strong>la</strong> i miei primi articoli, negli anni del liceo. E mi aveva accompagnato ancora a lungo, senza mai un ce<strong>di</strong>mento. Ma il computer cambiava tutto. La possibilità <strong>di</strong> tornare su un testo, invertire paragrafi , tagliare pezzi <strong>di</strong> qua e incol<strong>la</strong>rli là senza dover riscrivere tutto, aveva un qualcosa <strong>di</strong> miracoloso. Seduti davanti allo schermo <strong>di</strong> un pc ci si sentiva catapultati dritti nel futuro. Un quarto <strong>di</strong> secolo più tar<strong>di</strong>, eccoci all’iPad, il più sofi sticato (e trendy) dei “tablet-pc”. Alle rivoluzioni ci si è abituati in fretta. Eppure dopo aver provato a <strong>di</strong>gitare sull’iPad ci si trova, ripassando ad una “normale” tastiera, con <strong>la</strong> sensazione <strong>di</strong> tornare in<strong>di</strong>etro, a un accessorio che appartiene al passato. Forse sbaglierò. Forse <strong>la</strong> tastiera continuerà ancora a lungo a rendere i suoi preziosi servigi a impiegati e dattilografe (se ne esistono ancora, ma ne dubito). Ma il <strong>di</strong>gitare <strong>di</strong>rettamente sul <strong>di</strong>sp<strong>la</strong>y, senza il tramite <strong>di</strong> una tastiera che occupa spazio e si riempie <strong>di</strong> polvere, sembra avere in sé qualcosa <strong>di</strong> ineluttabile. Che ha a che fare <strong>di</strong>rettamente col futuro. Anche <strong>per</strong>ché l’iPad rende istantaneo quel passaggio da un’applicazione all’altra che è <strong>di</strong>ventato <strong>la</strong> cifra essenziale del<strong>la</strong> nostra con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> fruitori <strong>di</strong> multime<strong>di</strong>alità. Con quell’aggeggio fra scrittura e internet, video, posta elettronica, GPS, musica, videogiochi, social networks e così via non c’è più soluzione <strong>di</strong> continuità. L’iPad è l’accessorio <strong>per</strong>fetto <strong>per</strong> l’uomo “multitasking”. Ancora un salto in<strong>di</strong>etro, se me lo <strong>per</strong>donate. Di multitasking ho sentito par<strong>la</strong>re <strong>per</strong> <strong>la</strong> prima volta una quin<strong>di</strong>cina d’anni fa. Lavoravo in un giornale; si abbandonavano i vecchi e voluminosi videoterminali, e facevano <strong>la</strong> loro comparsa i <strong>per</strong>sonal computer, che sembravano veloci e agilissimi. In realtà avevano un millesimo delle potenzialità degli attuali, ma il passo in avanti rispetto al<strong>la</strong> rigi<strong>di</strong>tà dei sistemi precedenti era fantastico. E oltretutto <strong>per</strong>mettevano, appunto, il multitasking – come ci spiegava l’istruttore, un informatico che a noi giornalisti sembrava par<strong>la</strong>sse <strong>la</strong> lingua dei marziani. Ce ne par<strong>la</strong>va come <strong>di</strong> una possibilità straor<strong>di</strong>naria: e, in effetti, utilizzare contemporaneamente più programmi in quegli anni era straor<strong>di</strong>nario. Certo non avremmo mai immaginato che tutto ciò <strong>di</strong> Nico Tanzi sarebbe stato pochi anni dopo <strong>la</strong> chiave <strong>di</strong> volta <strong>di</strong> una vera e propria mutazione antropologica. Già, <strong>per</strong>ché nel frattempo il multitasking ha smesso <strong>di</strong> restare confi nato nell’ambito dell’informatica, ed è <strong>di</strong>ventato una componente fondamentale del nostro modo <strong>di</strong> vivere. Siamo una “generazione multitasking”, come l’ha battezzata anni fa il settimanale americano Time. Milioni <strong>di</strong> <strong>per</strong>sone che vivono in stato <strong>di</strong> “attenzione parziale continua”: sono qui e nello stesso tempo sono altrove. Par<strong>la</strong>no con un interlocutore, ma intanto tengono d’occhio gli sms, ascoltano musica con un iPod. Non vivono “qui e ora”, insomma: <strong>di</strong>stribuiscono <strong>la</strong> loro attenzione, sempre parziale e mai totale, su una miriade <strong>di</strong> canali <strong>di</strong>versi. Le conseguenze <strong>di</strong> questo modo <strong>di</strong> vivere <strong>la</strong> “comunicazione globale” non si sono fatte attendere. C’è già chi par<strong>la</strong> <strong>di</strong> patologie connesse, <strong>di</strong> “sindrome da interruzione continua”. Niente <strong>di</strong> completamente nuovo, e ci mancherebbe altro: ma intanto si contano oltre quattro milioni <strong>di</strong> ragazzi, nei soli Stati Uniti, che soffrono <strong>di</strong> “<strong>di</strong>sor<strong>di</strong>ne da i<strong>per</strong>attività e defi cit <strong>di</strong> attenzione”. Secondo uno stu<strong>di</strong>o del<strong>la</strong> Kaiser Family Foundation (condotto nel 2006, quin<strong>di</strong> nel frattempo le cifre sono con ogni probabilità cresciute), negli USA chi ha fra gli 8 e i 18 anni “consuma” me<strong>di</strong>a elettronici <strong>per</strong> 6,5 ore (in me<strong>di</strong>a) al giorno. E già questo sarebbe mostruoso. Ma il peggio è che quelle ore è come se fossero in realtà due in più: 8,5. E questo proprio a causa del multitasking, che <strong>per</strong>mette <strong>di</strong> svolgere più compiti contemporaneamente. Ma si tratta <strong>di</strong> un’illusione: in realtà il cervello umano, anche quando ci dà <strong>la</strong> sensazione del<strong>la</strong> simultaneità, svolge un compito (in inglese, “task”) <strong>per</strong> volta. Se lo subissiamo <strong>di</strong> richieste continue, a intervalli sempre più brevi (come avviene quando ci <strong>di</strong>vi<strong>di</strong>amo fra telefono, SMS, e-mail, musica, video eccetera) rischiamo <strong>di</strong> farlo andare in tilt. Di sicuro ne <strong>di</strong>minuiamo <strong>la</strong> capacità <strong>di</strong> concentrazione. E <strong>di</strong>minuisce così anche <strong>la</strong> capacità <strong>di</strong> mantenere viva l’attenzione <strong>per</strong> <strong>per</strong>io<strong>di</strong> <strong>di</strong> tempo che vanno oltre qualche minuto. Come sanno bene gli insegnanti, il cui sforzo <strong>per</strong> mantenere alta <strong>la</strong> concentrazione degli alunni <strong>per</strong> un’ora intera ha sempre più del titanico. Ma sapete qual è l’aspetto comico del<strong>la</strong> faccenda? Per svolgere due azioni separatamente – è stato <strong>di</strong>mostrato – ci vuole molto meno tempo, a volte <strong>la</strong> metà, rispetto a quando le si svolge contemporaneamente. E i rischi <strong>di</strong> errore sono molto inferiori. <strong>la</strong> Rivista n. 3 - Marzo 2011 31