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Nasceva per unire - Camera di Commercio Italiana per la Svizzera

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Italiche<br />

20 capitali e 100 città<br />

“Ai popoli d’Italia”, scriveva Goffredo Mameli nel<br />

1948, <strong>per</strong> protestare contro l’armistizio Sa<strong>la</strong>sco, il<br />

16 agosto 1848 quando Mi<strong>la</strong>no fu riconsegnata agli<br />

austriaci, riconoscendo nel titolo <strong>la</strong> <strong>di</strong>versità che è<br />

al<strong>la</strong> base del<strong>la</strong> sua stessa identità. Nel 1857, racconta<br />

Antonio Caprarica nel suo libro sul 150 dell’unità<br />

(“C’era una volta in Italia” presentato al<strong>la</strong> Confi ndustria)<br />

<strong>per</strong> andare da Ferrara a Genova, occorrevano<br />

7 giorni; bisognava passare 5 frontiere ed erano<br />

necessari 7 passaporti. L’Italia, racconta Caprarica,<br />

dolorosamente si è unita <strong>per</strong>ché era il biglietto necessario<br />

<strong>per</strong> entrare nel<strong>la</strong> modernità. Ancora oggi <strong>la</strong><br />

Gran Bretagna ha una so<strong>la</strong> grande città, che è Londra<br />

e gli altri come Birmingham o Manchester sono<br />

agglomerati industriali. Lo stesso vale <strong>per</strong> <strong>la</strong> Francia,<br />

dove c’è Parigi. L’Italia ha invece 20 capitali e cento<br />

città. Se voi andate a Modena, il Pa<strong>la</strong>zzo Ducale<br />

degli Estensi è <strong>di</strong> gran lunga più sontuoso e regale<br />

del<strong>la</strong> reggia <strong>di</strong> Buckingham Pa<strong>la</strong>ce. Siamo un Paese<br />

fatto <strong>di</strong> gran<strong>di</strong> <strong>di</strong>fferenze, spiega l’autore, <strong>per</strong> anni<br />

corrispondente del<strong>la</strong> TV italiana da Londra e Parigi.<br />

Nel suo libro, egli cerca <strong>di</strong> andare all’origine <strong>di</strong><br />

questo “pedaggio” dell’unità <strong>per</strong> entrare nel mondo<br />

moderno. Quando l’Italia si unì, spiega Caprarica,<br />

il Belgio produceva 800.000 tonnel<strong>la</strong>te <strong>di</strong> ghisa e<br />

l’Italia solo 30 mi<strong>la</strong>. Attraverso il Risorgimento, <strong>la</strong><br />

rivoluzione fatta dai ventenni e trentenni, si è innescata<br />

in quello che era il Brasile del XX secolo,<br />

con più dell’80% <strong>di</strong> analfabeti e il Paese è <strong>di</strong>ventato,<br />

grazie all’inventiva delle sue genti, l’ottava potenza<br />

mon<strong>di</strong>ale <strong>per</strong> il Pil. Tutti quanti ricor<strong>di</strong>amo quel<strong>la</strong><br />

frase che ci hanno fatto ripetere milioni <strong>di</strong> volte, <strong>la</strong><br />

famosa frase <strong>di</strong> D’Azeglio: “l’Italia è fatta, ora bisogna<br />

fare gli italiani”. Ma d’Azeglio non ha mai detto così.<br />

Da piemontese molto pragmatico ha detto: “l’Italia<br />

si è fatta, ma non si fanno gli italiani” e il commento<br />

dell’ex presidente Cossiga era sempre “e se <strong>per</strong> caso<br />

gli italiani non volessero farsi fare?” Dubbio che deve<br />

accompagnarci. Perché noi italiani abbiamo una<br />

debolissima identità nazionale. Abbiamo una forte<br />

identità locale. Siamo prima <strong>di</strong> tutto comaschi, romani,<br />

torinesi, veneziani. Bisogna pure capire bene<br />

come siamo fatti. In questo Paese pieno <strong>di</strong> <strong>di</strong>fferenze<br />

e <strong>di</strong> identità locali l’idea <strong>di</strong> un’amministrazione<br />

fortemente centralizzata era dettata dal<strong>la</strong> drammatica<br />

esigenza del momento. Era uno Stato nuovo,<br />

debole, fragile, senza sol<strong>di</strong>. De Sanctis loda l’esercito<br />

come “il fi lo <strong>di</strong> ferro che ha cucito e tenuto insieme<br />

il paese”. In questa situazione si sceglie <strong>la</strong> strada<br />

dell’amministrazione unica centralizzata spazzando<br />

via le <strong>di</strong>fferenze. Ma esse fan parte del<strong>la</strong> società italiana<br />

e quin<strong>di</strong> dobbiamo dar forza a queste <strong>di</strong>ffe-<br />

<strong>di</strong> Corrado Bianchi Porro<br />

renze <strong>per</strong> vinco<strong>la</strong>rle all’idea <strong>di</strong> una patria comune.<br />

Oggi, fi nito il tempo delle vacche grasse, bisogna<br />

stringere <strong>la</strong> cinghia, ma non devono vincere tutti gli<br />

egoismi. Se il riconoscimento delle nostre <strong>di</strong>fferenze<br />

è <strong>la</strong> nascita del famoso, atteso e invocato federalismo<br />

che avviene all’insegna degli egoismi locali,<br />

siamo <strong>per</strong>duti. Se invece nasce come una possibilità<br />

<strong>di</strong> snellire lo Stato, rendere effi caci ed effi cienti le<br />

autonomie locali, ridurre <strong>la</strong> spesa pubblica, favorire<br />

una gestione trasparente, ben venga, Se è solo<br />

un modo <strong>per</strong> conteggiare <strong>la</strong> crisi, non festeggeremo<br />

il bicentenario e soprattutto credo che i nostri fi gli<br />

avranno ben poco da festeggiare. Nei momenti <strong>di</strong><br />

crisi e del declino italiano, si è sempre fatta strada<br />

questa litania <strong>di</strong> cui racconta il Manzoni al<strong>la</strong> rivolta<br />

<strong>di</strong> Mi<strong>la</strong>no “io ho moglie e fi gli”. L’alibi è sempre stata<br />

<strong>la</strong> famiglia. Fa parte <strong>di</strong> un altro incre<strong>di</strong>bile paradosso<br />

del nostro Paese: abbiamo nel<strong>la</strong> famiglia un punto<br />

<strong>di</strong> forza straor<strong>di</strong>nario che molti altri Paesi ignorano.<br />

È un porto <strong>di</strong> affetti sicuri, <strong>di</strong> sostegno. Ma in un Paese<br />

dallo Stato debole, se <strong>la</strong> famiglia <strong>di</strong>venta il surrogato<br />

dello Stato e lo cancel<strong>la</strong>, trasforma lo Stato<br />

in una congrega <strong>di</strong> raccomandati. La trasformazione<br />

del<strong>la</strong> famiglia da unità <strong>di</strong> affetti in unità economica<br />

è una cosa che arreca un grave danno a questo Paese,<br />

Basta dunque il non immischiarsi. Bisogna sa<strong>per</strong><br />

sognare. Non è detto che poi si realizzino i sogni,<br />

ma se non avete un progetto non andrete da nessuna<br />

parte, <strong>di</strong>ce Caprarica. È bene che voi italiani <strong>di</strong><br />

18 anni sappiate che dovrete affrontare un mondo<br />

in cui <strong>la</strong> concorrenza non è più limitata al miliardo<br />

<strong>di</strong> uomini dei Paesi sviluppati come fi no a 20 anni<br />

fa. Oggi signifi ca tener conto <strong>di</strong> altri 3 miliar<strong>di</strong> che<br />

sono arrivati sul mercato, producono meglio <strong>di</strong> noi<br />

a prezzi più bassi e con più capacità inventiva. O<br />

ripren<strong>di</strong>amo a inventare, che è quello che abbiamo<br />

fatto dal Risorgimento in avanti <strong>per</strong> tanti anni, come<br />

dopo <strong>la</strong> seconda guerra mon<strong>di</strong>ale, si è ricostruito un<br />

Paese da zero. Nel 1945 l’Italia aveva un Pil più basso<br />

<strong>di</strong> quello del<strong>la</strong> Polonia occupata dai comunisti e devastata<br />

dai russi. Stavamo peggio. Ma non s’è <strong>per</strong>sa<br />

<strong>la</strong> capacità <strong>di</strong> sognare. Infi ne: è poi giusto par<strong>la</strong>re <strong>di</strong><br />

identità nazionali nell’Europa <strong>di</strong> oggi? Adoro i sognatori,<br />

<strong>di</strong>ce Caprarica, ma non fi no a questo punto.<br />

Il sogno dell’Europa unità è sempre più un miraggio,<br />

mentre assistiamo al<strong>la</strong> risco<strong>per</strong>ta degli interessi<br />

nazionali. Magari non fi no al protezionismo e al<strong>la</strong><br />

guerra delle valute, ma degli interessi nazionali e <strong>di</strong><br />

una collettività che si riconosce in una cultura, uno<br />

Stato, una lingua. Interessi da <strong>di</strong>fendere in un mondo<br />

dove <strong>la</strong> globalizzazione produce ogni giorno una<br />

competizione sempre più aspra e serrata.<br />

<strong>la</strong> Rivista<br />

n. 3 - Marzo 2011<br />

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