l'editoriale la riflessione la discussione temi e problemi Pedagogia ...
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Peraltro, con <strong>la</strong> crisi del<strong>la</strong> razionalità analitica, va ripensata forse anche<br />
<strong>la</strong> nozione stessa di “scienze dell’educazione”, sensata solo a condizione<br />
che le varie discipline condividano un paradigma comune, che,<br />
nei fatti, si è dimostrata incapace di interpretare in maniera coerente e<br />
unitaria <strong>la</strong> regione ontologica dell’educazione e ha finito, di fatto, per<br />
sottrarre lo spazio specifico di una scienza propriamente pedagogica.<br />
Ma, su quel terreno, le risposte degli anni Novanta ancorate sul<strong>la</strong> tradizione<br />
filosofica “continentale”, se hanno recuperato <strong>la</strong> dimensione del<br />
soggetto, <strong>la</strong>sciato spazio a nuove forme di razionalità e hanno opportunamente<br />
introdotto il sospetto nell’ottimismo neopositivistico, hanno<br />
legittimato anche tentativi di ricondurre <strong>la</strong> pedagogia entro gli ambiti<br />
dell’incertezza, dell’assenza di rigore, dell’arbitrio. Gli approcci ermeneutici,<br />
il costruttivismo post-moderno, il post-struttralismo, il paradigma<br />
narrativo, o meglio <strong>la</strong> loro vulgata, hanno rischiato di privare <strong>la</strong> <strong>riflessione</strong><br />
pedagogica di un proprio rigore, del<strong>la</strong> propria autonomia epistemologica,<br />
del<strong>la</strong> capacità di darsi un metodo e di generare prassi, riducendo<strong>la</strong><br />
a discorso colto, a piatta descrizione, a irresponsabile re<strong>la</strong>tivismo, a<br />
distruttivo nichilismo.<br />
In effetti questo rischio vale soprattutto in riferimento a coloro che<br />
sono oggi in formazione o che si accingono a unirsi al<strong>la</strong> comunità scientifica.<br />
Altro è infatti criticare le nostalgie ontologiste, i residui fondazionalisti,<br />
le rigidità metodologiche; altro è ignorare ogni forma di rigore,<br />
di razionalità e di pensiero argomentativo. Si finisce per formare esecutori<br />
che sbuffano ogni volta che si sente par<strong>la</strong>re di teoria o, più frequentemente,<br />
fra i giovani ricercatori si creano le vittime predestinate a farsi<br />
catturare dalle sirene scientiste oggettivistiche di quelle scienze “rigorose”<br />
che promettono, loro sì, insieme a “comunicazione professionale completa”<br />
e “possibilità di emettere giudizi professionali unanimi”, un sicuro<br />
riconoscimento professionale e indiscussa autorevolezza scientifica.<br />
Pur rinunciando ad inattuali pretese fondative, abbiamo bisogno di<br />
una pedagogia capace di offrire un pensiero in grado di pensare l’ambiguità<br />
e di non infrangersi di fronte alle contraddizioni e alle antinomie<br />
da cui il sapere contemporaneo è percorso. Una <strong>riflessione</strong> che tenga<br />
conto del profondo rivolgimento antropologico che si va compiendo nel<strong>la</strong><br />
contemporaneità con le migrazioni, i meticciamenti, <strong>la</strong> fine degli stati<br />
nazione, gli scontri etnico-culturali ecc.<br />
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