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i, gli insegnanti, gli adulti mi raccontavano, tra il pensoso e il nostalgico,<br />

di avere da poco vissuto un’epoca irripetibile. Un’epoca<br />

caratterizzata da speranze di liberazione e di uguaglianza, nonché<br />

dalla certezza di essere la generazione che avrebbe cambiato il destino<br />

del mondo. E mentre, crescendo, affrontavo le prime esperienze<br />

che qualsiasi ragazzo o ragazza vuole vivere, davanti a ogni<br />

mia scelta un poco ardita loro avevano la pretesa e la sincera convinzione<br />

di averla già fatta, e meglio, con più entusiasmo e partecipazione.<br />

Purtroppo erano gli anni ottanta e il presente mi appariva irrimediabilmente<br />

diverso da quelle loro fughe immaginarie: Milano<br />

era una città pericolosa, dove le tentazioni della droga e della strada<br />

spesso rappresentavano l’unica via d’uscita da una realtà in cui<br />

non sembrava restasse molto da scoprire. Camminando radente<br />

sull’orlo del baratro, tiravo dritto nel mio isolamento e, benché<br />

continuassi a osservare gli adulti con un misto di curiosità e rispetto,<br />

ben presto prese il sopravvento una forte perplessità: le<br />

avventurose rievocazioni dei sessantottini – diventati in quel periodo<br />

brillanti professionisti sui quarant’anni – erano certo molto<br />

affascinanti, ma nella ricostruzione che mi veniva proposta c’era<br />

qualcosa che non funzionava.<br />

Io la realtà ce l’avevo davanti agli occhi. Tutti i giorni mi alzavo<br />

dal letto e affrontavo il surreale sberluccichìo della Milano da bere.<br />

Livoroso e impacciato, vestito completamente di nero per urlare<br />

la mia ribellione, osservavo la città senza capirla. A distanza<br />

di poco più di dieci anni, i protagonisti delle lotte e i fautori delle<br />

utopie mi sembravano davvero troppo cambiati. Trasfigurati. Cosa<br />

è potuto succedere in così poco tempo? mi domandavo, sinceramente<br />

stupito.<br />

Forse la storia corre troppo in fretta, pensavo, o forse a me,<br />

adolescente inquieto e molesto, manca una visione d’insieme. Rimane<br />

il fatto che gli ex contestatori dalla memoria nostalgica mi<br />

sembravano troppo in pace con se stessi per avere da poco vissuto<br />

una lacerante sconfitta. Erano fin troppo sereni per avere subito<br />

in prima persona la violenza ideologica degli anni settanta: inseriti<br />

professionalmente, consapevoli, disinvolti, adattabili ai cam-<br />

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