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del Virus e insieme a tutta Italia gioivano per le imprese di Pablito<br />
Rossi. Alcuni di loro cominciarono in quei giorni a frequentare la<br />
libreria Calusca di Primo Moroni e a capire meglio ciò che era<br />
successo negli anni settanta. Probabilmente, se non ci fosse stato<br />
questo incontro, i punk milanesi non sarebbero riusciti ad aprire<br />
lo scrigno blindato dei cosiddetti anni di piombo. Forse, avrebbero<br />
presto pensato che ogni cosa inventata, creata e scaturita<br />
nella loro gioventù era spazzatura, merda, roba da buttare via se<br />
paragonata alle imprese sessantottarde... Appunto come una semifinale<br />
calcistica che nella riscrittura a posteriori supera di gran<br />
lunga una finale. Senza questo incontro, i punk avrebbero anche<br />
loro ingurgitato l’unica verità storica disponibile, quella scritta<br />
dai vinti su commissione dei vincitori.<br />
Era interesse di costoro addossare l’intera responsabilità di ogni<br />
misfatto al periodo della seconda metà degli anni settanta, in particolare<br />
al movimento del ’77, di cui in questi mesi si celebra il<br />
trentennale, ricordandolo perlopiù come un tragico epilogo del<br />
sessantotto. Ma non andò così. Primo Moroni, che nel corso dei<br />
suoi ultimi vent’anni di vita non si stancò mai di organizzare dibattiti,<br />
incontri e conferenze dal titolo: “Liberiamo gli anni settanta”,<br />
nel suo libro scritto con Nanni Balestrini, L’orda d’oro, a<br />
proposito del ’77 scriveva: “in quell’anno si sommano gli effetti di<br />
una prolungata stagione di lotte operaie e di una esplosione culturale<br />
dei movimenti di rivolta dei disoccupati e dei giovani, di<br />
tutti coloro che si sentono minacciati dal nuovo assetto produttivo<br />
che si intravede all’orizzonte nel postindustriale”. Nei primi<br />
mesi del ’77, anche se a Milano il tutto fu anticipato all’estate del<br />
1976, il tono delle lotte era ancora quello della rivoluzione dietro<br />
l’angolo, della speranza messianica, della fiducia euforica in una<br />
comunità liberata, ma nei mesi successivi, dopo l’impatto con la<br />
durezza della repressione e soprattutto con la spietata logica della<br />
competitività sul lavoro, la disoccupazione inevitabile, l’emarginazione<br />
galoppante, divenne predominante il tono disperato e<br />
autodistruttivo, il rifiuto di sopravvivere in un’epoca disumana,<br />
in cui tutti i valori della solidarietà sarebbero stati cancellati.<br />
Sempre in L’orda d’oro si legge: “In questo senso possiamo dire<br />
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