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nonostante i pochi anni di differenza non riusciva a comunicare<br />
con i futuri contestatori e li guardava con un misto di invidia e<br />
preoccupazione, con quella sua “faccia consumata dal buon senso”<br />
che lo faceva sentire più vecchio senza essere più saggio. Pasolini<br />
aveva capito che con gli anni sessanta si compiva il definitivo<br />
crepuscolo di un’Italia arcaica e ancora sostanzialmente rurale:<br />
l’Italia delle classi ben divise e orgogliosamente visibili, l’Italia<br />
della sua giovinezza, contadina e popolare. L’Italia bacchettona e<br />
moralista nella quale aveva potuto provare sulla propria pelle l’emarginazione<br />
del diverso. Struggendosi in questa aristocratica distinzione,<br />
Pasolini guardava con sincera commozione alla massa<br />
proletaria priva di istruzione, che secondo lui doveva rimanere<br />
immutata se non voleva perdere la purezza. Presto, lo sapeva,<br />
quella massa si sarebbe trasformata. Il poeta friulano, come molti<br />
altri della sua generazione, sentiva che si andava affermando una<br />
nuova nazione, più moderna ed efficiente, compiutamente industriale,<br />
ma che paradossalmente quella novità sarebbe durata poco,<br />
sorpassata dal dominio del terziario e della comunicazione.<br />
Ma aveva anche capito che i primi responsabili di questo cambiamento<br />
sarebbero stati proprio i giovani, quegli “studenti dagli occhi<br />
cattivi” che finalmente, è il caso di ricordarlo senza ambiguità,<br />
risposero con determinazione e coraggio alla violenza della polizia.<br />
Ed è proprio in questo stravolgimento di prospettive che i<br />
giovani degli anni sessanta, in nome del presente e dell’urgenza<br />
vitale, hanno cominciato la loro rivolta. In primo luogo contro i<br />
propri padri, il nemico più vicino e più immediato. Poi contro la<br />
famiglia, ricettacolo di valori e costrizioni borghesi, vista come un<br />
limite, un legame da rimuovere senza perdere tempo. E poi, ancora,<br />
spinti da uno spontaneo e certo virtuoso istinto antiautoritario,<br />
coinvolgendo nella loro critica ceto politico, modelli pedagogici,<br />
clero e istituzioni.<br />
Il mondo doveva cambiare e gli artefici di questo cambiamento<br />
dovevano essere loro. Pronti ad agire con decisione e persino<br />
con cattiveria, come notava Pasolini parlando dell’“occhio cattivo”<br />
dei giovani borghesi di città.<br />
Il sessantotto studentesco fu, più di ogni altra cosa, una rivolta<br />
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