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Trascorsi tre decenni, queste dinamiche di lotta possono apparire<br />

come una ingenua reazione a velleità consumistiche frustrate,<br />

espressione di una baldanza rivoluzionaria un poco naïf<br />

che unisce spontaneismo, retorica operaista e vitalismo sovversivo<br />

a sfacciate pretese di impunità giudiziaria. Di fatto, però, i<br />

giovani proletari delle periferie sono una realtà politica inedita.<br />

Energici e determinati, sebbene sprovvisti di malizia retorica, i<br />

militanti dei circoli rifiutano il verticismo leninista e le sue derive<br />

totalitarie, rifiutano l’etica del lavoro, credono in un salario<br />

sganciato dalla prestazione lavorativa e auspicano una lotta<br />

orizzontale di massa, autorganizzata. Estranei alle dinamiche<br />

assembleari e all’inconcludente prassi gruppettara, i giovani dei<br />

circoli concludono definitivamente la stagione politica della<br />

nuova sinistra extraparlamentare, principale erede del sessantotto<br />

studentesco.<br />

Così racconta quella mancanza di comunicazione tra le due<br />

generazioni Majid Valcarenghi, storico fondatore del giornale<br />

“Re Nudo”, nel suo saggio Non contate su di noi, uscito nel 1977.<br />

Milano. Gennaio 1976. Nella sede centrale di Lotta Continua<br />

c’è un’assemblea strana, convocata da compagni<br />

eterogenei fra loro: vecchi militanti del ’68 autoemarginati<br />

nell’organizzazione e giovani proletari dei primissimi<br />

circoli nascenti nell’hinterland. La critica colpisce la politica<br />

culturale della nuova sinistra nei quartieri, contro la<br />

gestione dei centri sociali concepiti come ghetti rossi dove<br />

masochizzarsi rivendendo la quindicesima volta La corazzata<br />

Potëmkin o Senza tregua.<br />

E ancora:<br />

A “Re Nudo” i compagni del collettivo seguono con<br />

preoccupato distacco le vicende dei circoli giovanili.<br />

Avrei capito più tardi il perché: erano troppo vecchi per<br />

identificarsi ed erano troppo giovani per sentirsi padri.<br />

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