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tato dal craxismo e dalle sue derive furfantesche, poi facendo<br />
propria una visione del mondo disillusa e personalistica, nella<br />
quale ogni scelta politica, anche la più deprecabile o interessata,<br />
viene giustificata con un insindacabile “percorso di rielaborazione<br />
personale”. Badate bene, con questo ragionamento non pretendo<br />
di criminalizzare un’intera generazione, sarebbe stupido e<br />
ingiusto. Troppe speranze sono andate deluse per continuare a<br />
infierire. Ma certamente viene rivendicato uno spirito identitario<br />
forte, condiviso dalla maggior parte di coloro che parteciparono<br />
alle lotte di quegli anni. D’altra parte le decisioni dei leader sono<br />
sempre permesse da coloro che li acclamano come tali. E non è<br />
certo una novità che i leader del sessantotto studentesco ormai<br />
da parecchi anni rivestono ruoli importanti nella società civile,<br />
nell’imprenditoria e soprattutto nella comunicazione. Si collocano<br />
sia a sinistra sia a destra, divisi su tutto meno che sulla lacrimosa<br />
arte del rimpianto.<br />
Certo è che, distratti o forse dimentichi degli eventi, pochi di<br />
loro si sono posti il dubbio di avere avuto un ruolo storico molto<br />
diverso da quello solitamente celebrato nelle periodiche rievocazioni.<br />
Pochi hanno pensato di essere in prima persona responsabili<br />
di una grande truffa politica e culturale.<br />
La mia generazione e quelle successive, formatesi culturalmente<br />
negli anni ottanta e novanta, gravate di questo fardello e soffocate<br />
dall’abbraccio di padri che si rifiutano di invecchiare e temono di<br />
perdere il loro presunto primato intellettuale, non sono state capaci<br />
di un rigenerante conflitto anagrafico.<br />
In realtà non ci abbiamo nemmeno provato.<br />
Chi ha rivendicato con fermezza la propria indipendenza, officiando<br />
freudianamente l’uccisione del padre su vasta scala, certo<br />
sa come tenere a bada i propri figli. Lo fa con astuzia, e magari anche<br />
in buona fede. La convinzione di avere sperimentato tutto, di<br />
avere in qualche modo rappresentato la sintesi dei grandi movimenti<br />
sociali del Novecento, ha creato una sorta di sproporzionato<br />
ego generazionale, che in forma differente e con minore enfasi<br />
continua a riproporsi ancora adesso. Sulla base di questa convin-<br />
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