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poetica di Pier Paolo Pasolini, beffato così per contrappasso), girato<br />

da Marco Tullio Giordana e uscito nelle sale nel 2003, scatenando<br />

per reazione una serie davvero interminabile di servizi<br />

giornalistici, dibattiti, interviste e formidabili nostalgie. Non entro<br />

nel merito delle qualità artistiche del lungometraggio (lungo<br />

oltre sei ore e originariamente pensato per la televisione) perché<br />

se ne è già parlato abbastanza e i pareri sono discordi, ma mi preme<br />

sottolineare la chiara volontà del regista, non a caso nato nel<br />

1950, di rinnovare l’esaltazione mitopoietica della sua generazione.<br />

A partire dal titolo. Bisogna avere una grande considerazione<br />

del proprio percorso, un grande orgoglio per scegliere un titolo<br />

di questa forza evocativa.<br />

Nella semplice frase convivono i due termini fondamentali per<br />

capire la parabola esistenziale dei sessantottini: meglio e gioventù.<br />

Il primo riguarda la presunzione, dura a morire, di un primato<br />

intellettuale e culturale, mentre il secondo riconduce mestamente<br />

al suo rimpianto.<br />

È profondamente triste questo mal celato desiderio di eternità,<br />

questa paura dell’oblio. Per fermare il tempo e credere di<br />

non invecchiare i sessantottini hanno bisogno di continuare a ricordare,<br />

anche i fatti più marginali.<br />

Qualche mese dopo l’uscita del film il settimanale Diario diede<br />

alle stampe un numero speciale chiamato appunto La meglio<br />

gioventù. Accadde in Italia 1965-1975. Un elenco, in realtà, un<br />

prosaico elenco di circa duemilaseicento nomi e cinquecento brevi<br />

biografie di protagonisti della contestazione, che dava ampio<br />

spazio anche alle figure minori. Un redattore anonimo, con ogni<br />

probabilità Enrico Deaglio, presenta l’opera con queste parole:<br />

Se avete immaginazione, e un po’ non ne manca a nessuno,<br />

scegliete un gruppo di foto sparse, o non riviste da tanto<br />

tempo, e montatele dentro a una cornice come se fosse uno<br />

specchio da mettere in anticamera quando ricevete amici e<br />

ospiti. Vi stupirete quando loro, gente civile sui cinquant’anni,<br />

si riconosceranno in una ragazza francese col<br />

pugno chiuso, o in un ventenne che assomiglia a Mario<br />

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