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dei mammoni, degli eterni adolescenti, degli inconcludenti che<br />

non se vanno di casa.<br />

È ridicolo. Questo atteggiamento misto di incredulità e paternalismo<br />

benpensante è cresciuto con il tempo, si è rodato negli<br />

anni, è ormai logoro, utilizzato fino alla nausea.<br />

In quanto ultima generazione virtuosa dell’umanità, i sessantottini<br />

non si sono preoccupati di chi sarebbe venuto dopo di loro.<br />

Hanno vissuto nel presente, hanno lottato per il presente, creduto<br />

nel presente, bruciato il presente, senza mai provare a volgere<br />

lo sguardo in avanti.<br />

Per la loro vita “volevano tutto” e tutto hanno avuto: il puro<br />

sentimento di appartenenza e l’innata capacità di condivisione e<br />

mobilitazione sono state risorse straordinarie, una forza d’urto<br />

rara e invidiabile. Ma breve e purtroppo non sempre onesta, perché<br />

proprio mentre ridicolizzavano senza pietà l’aspirazione piccoloborghese<br />

del posto fisso e della tranquillità economica si sono<br />

presi cura del proprio interesse: assunti a tempo indeterminato,<br />

garantiti al cento per cento, non licenziabili; molti sono diventati<br />

perfino baby pensionati, una bizzarria surreale ma significativa,<br />

emblematica della loro convinzione di non avere eredi. E se lo<br />

Statuto dei lavoratori (promulgato nel 1970 in seguito alle lotte<br />

operaie dell’autunno caldo) rimane una delle più importanti eredità<br />

politiche del sessantotto, le generazioni successive hanno ricevuto<br />

in eredità un mondo del lavoro disgregato e selvaggio, dove<br />

l’ormai capillare e consolidata diffusione del precariato è solo<br />

l’aspetto più appariscente di una crisi etica ed esistenziale che in<br />

realtà è cominciata proprio con la loro sconfitta.<br />

Gramo destino il nostro. Figli illegittimi di una nazione che è<br />

fanalino di coda di un’Europa ancora impalpabile e rappresenta<br />

l’antitesi ideale e pratica di tutte le battaglie degli anni sessanta e<br />

settanta, viviamo alla giornata senza riuscire a immaginare un futuro,<br />

in una nazione fiaccata dal malcostume e culturalmente depressa.<br />

Nella loro illusione di eterna giovinezza, i nostri padri hanno<br />

vissuto senza porsi il problema del ricambio generazionale. Il ritardo<br />

economico, sociale, professionale, culturale e civile dell’Ita-<br />

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