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Imp. carceri modificato - Consiglio Regionale della Sardegna

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ma sanzionatorio penale.<br />

Rispetto alle sanzioni reintegratorie o risarcitorie, tipiche del diritto civile, si è continuato<br />

a considerare necessaria e utile la sanzione penale carceraria come strumento<br />

teso a “garantire l’osservanza <strong>della</strong> norma prima che se ne verifichi la violazione e ad<br />

asseverare la dissuasione una volta che la violazione sia stata commessa”. Solo in modo<br />

marginale e quasi simbolico, si è prospettata la possibilità di una giurisprudenza penale<br />

premiale, diretta a correggere i comportamenti devianti con l’imposizione di azioni<br />

alternative utili, da cui scaturissero vantaggi anche per il “condannato”.<br />

Su questa base, alimentata da diffuse convinzioni giuridiche e da un consenso<br />

sociale ampio, si sono consolidate alcune teorie fondamentali dirette a “giustificare”<br />

la pena detentiva:<br />

1. la teoria retributiva, tende ad imporre una pena “giusta”, proporzionale alla<br />

colpa commessa, pena considerata quindi in sé logica e giustificata;<br />

2. la teoria <strong>della</strong> prevenzione generale descrive la pena come deterrente, capace di<br />

impedire che i consociati delinquano. Si osserva che questo indirizzo è in contrasto<br />

con l’istanza personalistica di fondo (art. 2 Costituzione) per cui ogni<br />

uomo deve essere trattato non come un mezzo per scopi che lo trascendono,<br />

ma come un fine in sé;<br />

3. la teoria <strong>della</strong> prevenzione speciale chiede alla pena di impedire che il reo in<br />

futuro delinqua, con la rieducazione, la risocializzazione o con la neutralizzazione<br />

(cioè la reclusione).<br />

A partire dagli anni ’70 le iniziative di protesta dei detenuti e delle loro famiglie,<br />

ed il maturare <strong>della</strong> coscienza civile, hanno creato le premesse perché il dettato costituzionale<br />

trovasse finalmente attuazione normativa.<br />

Le diverse norme di settore, a partire dalla L. 354/’75 e dai 2 successivi regolamenti<br />

attuativi sino alle cosiddette leggi Gozzini (n. 663/’86) e Simeone (n. 165/’98),<br />

ed alle varie norme specifiche per il settore minorile, hanno condotto alla situazione<br />

giuridica attuale, che meglio si conosce.<br />

I fini <strong>della</strong> rieducazione dei condannati, del loro “trattamento” individuale, la<br />

creazione di misure alternative al carcere e di risocializzazione, sono divenuti il nucleo<br />

centrale e caratterizzante del nuovo sistema penitenziario.<br />

È stata cioè formalmente seguita la prescrizione costituzionale, sono state accolte<br />

le numerose indicazioni internazionali (ONU nel 1955, Convenzioni e risoluzioni di<br />

livello europeo nel 1950, ’73, ’87 e ’98) tese a fissare delle “regole minime per il trattamento<br />

dei detenuti”, e ad imporre in pratica l’ampio utilizzo delle misure alternative<br />

alla carcerazione, realizzando il principio <strong>della</strong> “minima offensività” <strong>della</strong> sanzione<br />

penale.<br />

Di fatto, e questa indagine lo attesta, queste norme sono state attuate in modo<br />

distorto, assolutamente insufficiente rispetto ai fini che proponevano.<br />

Le prospettive che si aprono, e che dovranno determinare azioni riformatrici consistenti,<br />

dovranno tener conto di ulteriori maturazioni <strong>della</strong> coscienza civile e <strong>della</strong><br />

ricerca scientifica sulla materia.<br />

Sostanzialmente, come già in parte si è accennato, è possibile oggi confrontarsi<br />

con diversi paradigmi tesi a dare soluzione alla deviazione criminale, così definibili:<br />

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