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Stefano U. Baldassarri<br />

altrui. 35 Esiste però una spiegazione meno compromettente per<br />

spiegare l’atteggiamento di Manetti, tesi peraltro suffragata dalle<br />

pagine che Folena ha magistralmente dedicato al trattatello<br />

bruniano: a circa un trentennio dalla sua comparsa, il De<br />

interpretatione recta era ormai divenuto un testo fondamentale della<br />

teoria traduttologica, al punto da dare per scontata l’accettazione<br />

delle sue tesi fra gli umanisti. 36 Queste ultime vengono infatti<br />

semplicemente ribadite da Manetti nell’Apologeticus, proposte come<br />

indiscutibili e note a tutti, giacché non è dagli esponenti<br />

dell’umanesimo che Manetti deve difendersi — a parte qualche<br />

inevitabile collega invidioso — ma dagli stessi chierici tradizionalisti<br />

che avevano attaccato Bruni già alla comparsa delle sue prime<br />

traduzioni. 37 Del resto, il vero fulcro della disputa non risulta essere<br />

tanto la prassi da seguire nel tradurre autori classici o testi<br />

comunque di contenuto laico, bensì le Sacre Scritture, ossia proprio<br />

quel settore che Bruni evitò di affrontare nel De interpretatione<br />

recta. Questo — com’è noto e altrettanto facile a comprendersi —<br />

costituiva un progetto ardito, per non dire assai rischioso, possibile<br />

solo col suffragio pontificio, come appunto nel caso di Manetti,<br />

segretario del ‘papa umanista’ Niccolò V e da questi incaricato<br />

ufficialmente di dedicarsi a una nuova, e indiscutibilmente<br />

ortodossa, traduzione della Bibbia. E non vi è dubbio che per un<br />

compito del genere Manetti risultasse un candidato assai più<br />

affidabile (ossia ortodosso, prevedibile e controllabile) di Lorenzo<br />

Valla. 38<br />

Alla luce di quanto detto, non sorprende che i paragrafi 5-18<br />

del quinto libro dell’Apologeticus costituiscano poco più di un<br />

riassunto del trattatello bruniano. Il De interpretatione recta è<br />

comprensibilmente più ricco di esempi e citazioni, strategia resa<br />

necessaria non solo dall’impegno di Bruni come traduttore di opere<br />

classiche, perlopiù platoniche e aristoteliche, ma anche dalla<br />

mancanza di significativi precedenti in materia nei primi anni ‘20<br />

del Quattrocento: il Medioevo non aveva infatti lasciato alcuno<br />

scritto teorico espressamente dedicato allo traduttologia, fatta<br />

eccezione per le sporadiche riflessioni che capita talvolta di<br />

incontrare nelle pagine prefatorie ad alcune versioni. Per Manetti<br />

— che elabora il suo trattato trent’anni dopo Bruni, ossia quando<br />

era ormai trascorso un intenso periodo di cruciale importanza sia<br />

per le versioni dal greco in latino sia per la teoria versoria che da<br />

tale attività era scaturita — sono sufficienti alcune citazioni<br />

dall’opuscolo del maestro per ribadire concetti che egli aveva già<br />

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