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Stefano U. Baldassarri<br />

— che questa precisa, severa e accurata regola sulla<br />

traduzione delle Sacre Scritture ha esposto e seguito<br />

fedelmente. Nella sua celeberrima, fondamentale e<br />

utilissima versione latina tanto dell’Antico quanto del<br />

Nuovo Testamento, basata sia sul testo ebraico sia su quello<br />

greco, egli talvolta si allontana dalla lettera, ma traducendo<br />

in modo tale da conservare intatto il messaggio divino<br />

dell’originale e renderlo al tempo stesso più chiaro, forbito<br />

ed elegante”. 51<br />

Una simile ‘via media’ nella teoria umanistica della traduzione<br />

era già stata espressa e, in parte, praticata negli anni che intercorsero<br />

fra la comparsa del bruniano De interpretatione recta e la stesura<br />

del quinto libro dell’Apologeticus; basti qui rinviare ai casi di Pier<br />

Candido Decembrio e Giorgio Trapezunzio, cui accenna James<br />

Hankins in una fondamentale monografia dedicata alle traduzioni<br />

umanistiche di Platone. 52 A onore di Manetti, tuttavia, va detto<br />

che, malgrado il debito fondamentale nei confronti di san Girolamo<br />

appena illustrato, l’umanista fiorentino rappresenta — non solo<br />

rispetto a Bruni ma a tutti i suoi immediati predecessori e<br />

contemporanei, incluso il cardinale Bessarione — un decisivo<br />

progresso per quanto concerne la teoria e la prassi traduttologica<br />

applicata ai testi sacri. 53 È noto infatti il disinterese, per non dire il<br />

disprezzo, di Bruni per la lingua ebraica. In una sua celebre epistola<br />

al giureconsulto lucchese Giovanni Cirignani, egli paragona<br />

sfavorevolmente l’ebraico alle lingue classiche, sottolineandone con<br />

forza la minore eleganza e la povertà lessicale, concludendo col<br />

dire che l’inferiorità dell’ebraico rispetto al greco e al latino è<br />

indicata dal modo stesso in cui si scrive: in senso cioè opposto a<br />

quello degli altri popoli. 54 Bruni non è certo un Pico dell Mirandola<br />

o un Reuchlin, ma — e questo è il punto — non è nemmeno un<br />

Manetti. In questo, e questo soltanto, egli risulta inferiore al suo<br />

alunno. Manetti è probabilmente il primo umanista ad aver<br />

acquisito sufficiente conoscenza dell’ebraico da tentare una nuova<br />

versione delle Sacre Scritture. 55 Questo lo pone senz’altro<br />

all’avanguardia nell’ambito degli studi linguistici e biblici, ma ciò è<br />

vero anche per quanto attiene alla traduttologia. Proprio in virtù<br />

della sua nuova traduzione dei Salmi “ex hebraica veritate” egli si<br />

sente di postulare (Apologeticus, par. 5) la superiorità delle seguenti<br />

lingue: ebraico, aramaico, greco e latino. Solo coinvolgendo due di<br />

esse si potrà avere una buona traduzione, come afferma nel<br />

17

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