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Esistono poi guide settoriali (Guida degli archivi comunali dell’Emilia Romagna,<br />
Guida degli archivi industriali della Toscana, Guida degli archivi industriali dell’Umbria, etc.) e guide<br />
tematiche, indicanti solo i fondi che comprendono documenti relativi a un determinato tema.<br />
L’inventario, invece, descrive ogni singolo fondo, in base all’ordine datogli dall’archivista<br />
che lo ha riordinato (il quale, ricordiamo, deve in ogni modo tentare di ristabilire la<br />
disposizione originaria delle carte). L’inventario si apre con una introduzione storica, ossia una<br />
panoramica sulla storia dell’ufficio, della magistratura, dell’ente che ha prodotto la documentazione,<br />
sulle sue competenze, sulla sua evoluzione. Tale introduzione non può concludersi in<br />
poche righe, ma deve essere la più esauriente ed ampia possibile. È chiaro che l’ampiezza dell’introduzione<br />
varia in relazione alla complessità della struttura amministrativa dell’ente e delle<br />
trasformazioni che essa ha subìto nel tempo. L’introduzione storica può anche essere strutturata<br />
diversamente, cioè un’introduzione generale al fondo e tante singole introduzioni particolari<br />
quante sono le serie 2 che compongono il fondo (es. inventario dell’archivio dell’ospedale dei<br />
pazzi di Roma ed inventario dell’archivio della famiglia Pallavicini di Genova).<br />
Per capire l’importanza dell’introduzione storica all’interno dell’inventario basti pensare<br />
che, secondo E. Lodolini, il vero inventario è l’introduzione stessa, perché, per il resto, si<br />
tratta di un elenco, scarsamente utile a chi ignori la storia dell’ente che ha prodotto i documenti.<br />
L’inventario non va confuso con un catalogo, cioè esso non descrive ogni singolo <strong>documento</strong>.<br />
Questo è chiaro se ricordiamo quanto detto in precedenza, cioè che ogni <strong>documento</strong> non ha<br />
valore in sé, ma solo in relazione agli altri, ai quali è legato per mezzo del vincolo archivistico.<br />
Come sostiene Paola Carucci, infine, “la bontà di un inventario non si misura in rapporto al<br />
grado di analiticità, bensì in rapporto alla sua funzionalità ai fini della ricerca” 3 .<br />
Fanno parte degli strumenti inventariali anche i repertori, i sommari, le rubriche, gli<br />
indici, redatti copiosamente soprattutto dagli archivisti settecenteschi, utilissimi perché facilitano<br />
ulteriormente le ricerche e integrano i più moderni strumenti di corredo. Si veda, ad esempio,<br />
la pagina di un repertorio settecentesco (Fig. 6) relativo all’archivio della famiglia bolognese<br />
degli Albergati, conservato appunto presso l’Archivio di Stato di Bologna. L’archivista ha elencato,<br />
per ordine alfabetico, i nomi dei membri della famiglia (la cui documentazione abbraccia<br />
i secoli XIII-XIX per un insieme di 256 buste) per gli anni 1600-1649 ed accanto ad ogni nome<br />
è indicata la tipologia del <strong>documento</strong> che lo riguarda seguita dall’indicazione del sommario e<br />
della busta (“libro” secondo la terminologia settecentesca) in cui è conservato il <strong>documento</strong>. La<br />
Fig.7 mostra il sommario relativo in cui troviamo un breve sunto del contenuto del <strong>documento</strong>;<br />
per la ricerca potrebbe esserci già sufficiente, oppure si ricorrerà direttamente al <strong>documento</strong>. Ad<br />
esempio, se cerchiamo documentazione su Cintia Albergati, il repertorio ci dirà che tra il 1600<br />
e il 1649 esiste, oltre al suo testamento, una particola del testamento stesso, conoscibile in sunto<br />
attraverso il sommario corrispondente a questo periodo a pagina 3 e che tale <strong>documento</strong> è il<br />
sesto della busta 73. Complessivamente l’archivista settecentesco redasse 21 strumenti tra<br />
repertori e sommari.<br />
Secondo Pratesi un ulteriore mezzo di corredo andrebbe individuato nei regesti, cioè<br />
nei riassunti più o meno ampi di singoli documenti, in cui vanno riportati tutti gli estremi del<br />
<strong>documento</strong> stesso (data topica e cronica, nome dell’autore e del destinatario, nomi delle parti in<br />
causa, oggetto dell’atto). In realtà, la regestazione dei documenti è diffusa e consueta solo per<br />
quanto riguarda la documentazione medievale e manca un’analoga metodologia per i documenti<br />
moderni e contemporanei; è vero, del resto, che nella quasi totalità degli archivi italiani la<br />
documentazione medievale non solo è presente, ma è di entità e consistenza non trascurabile.<br />
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