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pag. 295-398 - Siapec

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348COMUNICAZIONI LIBEREquesti, 68 casi sono stati esaminati con sezioni congelate,mentre 168 sono stati esaminati per apposizione citologica.RisultatiL’esame intraoperatorio ha dimostrato un’accuratezzadell’89% (209/236), ma ha permesso di identificare soltanto52 dei 77 casi che sono poi risultati positivi all’esame definitivo(sensibilità = 68%). Ci sono stati 25 falsi negativi(13,7%), 7 dei quali rappresentati da macrometastasi e 18 costituitida micrometastasi (p < 0,001). L’esame citologico perapposizione non ha permesso di identificare 6 macrometastasi,mentre 1 non è stata evidenziata alla sezione al criostato(p = 0,9). I falsi positivi registrati sono stati 2 (3,7%). Inoltre,l’esame definitivo del linfonodo sentinella, comprensivodi immunoistoichimica, ha evidenziato la presenza di CelluleTumorali Isolate (ITC) in 14/236 casi (6%), 12 dei qualierano risultati negativi in sede intraoperatoria. La linfoadenectomiasincrona all’intervento sulla mammella, dopo identificazioneintraoperatoria della metastasi linfonodale, è stataeseguita su 48/236 pazienti (20%). Tale procedura è stataadottata nel 10% delle pazienti con neoplasia di diametro cm 2 (p =0,05). La spesa sanitaria risparmiata al SSN, per questo gruppodi pazienti, è stata di 390.593.ConclusioniL’esame intraoperatorio appare quindi sufficientemente sensibileper l’identificazione delle macrometastasi, ma non ètotalmente accettabile per la diagnosi delle micrometastasi e,soprattutto, delle Cellule Tumorali Isolate (ITC). Entrambe lemetodiche, citologica per apposizione ed istologica per sezionecongelata, appaiono equivalenti. L’esame intraoperatorioconsente di stabilire l’approccio chirurgico più idoneo edè di particolare utilità nelle pazienti con neoplasia T2. Taleprocedura si può inoltre tradurre in un consistente risparmioeconomico per il SSN. Rimane, tuttavia, da standardizzareuna metodica accurata e facilmente riproducibile per l’esameintraoperatorio del linfonodo sentinella.Bibliografia1Motomura K, et al. Br J Surg 2002;89:1032-34.Carcinoma lobulare in situ e invasivo: studiodi clonalità con mtDNAG. Marucci, L. Morandi, M.G. Cattani ** , C. Riva * , V. EusebiSezione di Anatomia Patologica, Dipartimento di Oncologia,Università di Bologna, Ospedale Bellaria, Bologna; ** U.O.di Anatomia Patologica, Ospedale Maggiore; * Istituto diAnatomia Patologica, Università dell’InsubriaIntroduzioneIl rapporto tra il carcinoma lobulare in situ (CLIS) ed il carcinomalobulare infiltrante (CLI) è ancora oggetto di molteplicie non univoche interpretazioni. All’inizio il CLIS eraconsiderato un precursore obbligato del CLI, pertanto talediagnosi su biopsia poteva giustificare una mastectomia. Oggiesso viene considerato allo stesso tempo un indicatore dirischio e un precursore non obbligato del CLI: questa interpretazioneha portato ad un comportamento clinico più attendisticoma non ha risolto la confusione esistente.L’obiettivo del presente lavoro è quello di indagare se ilCLIS rappresenti un fattore di rischio oppure un precursoredello sviluppo successivo di CLI.MetodiSono stati arruolati 10 casi di CLIS con associato CLI. In tuttii casi è stata eseguita indagine immunoistochimica con anticorpoanti caderina-E ed è stato microdissecato il seguentemateriale: CLI; CLIS; Epitelio mammario morfologicamentenormale; Linfociti. Dai campioni ottenuti è stato estratto ilDNA ed è stato effettuato il sequenziamento della regioneipervariabile D-loop del DNA mitocondriale (mtDNA) perrealizzare un’analisi di clonalità.Al fine di evidenziare in termini di distanze genetiche le variemutazioni trovate, è stato utilizzato il metodo del Neighbor joining(NJ) 1 che al termine di un’elaborazione computer-assistitapermette la raffigurazione di un albero “randomizzato” e attraversoun algoritmo, come descritto da Kumar 2 , produce unvalore numerico che è direttamente proporzionale alla distanzagenetica rilevata.RisultatiL’esame dell’mtDNA ha messo in evidenza in 7 casi una distanzagenetica minima o ridotta fra le lesioni in situ ed invasive,in 2 casi intermedia e in 1 caso elevata. Tra i casi chemostrano una distanza ridotta vi sono sia carcinomi lobulariclassici che pleomorfi .ConclusioniI dati ottenuti mostrano nel 70% dei casi una distanza geneticaridotta tra il CLIS e il CLI, pertanto appaiono favorirel’ipotesi che il CLIS possa essere in molti casi un vero precursoredel CLI. Sarebbe opportuno che questo profilo geneticoemerso dall’analisi del mtDNA potesse essere supportatoda altre tecniche, come la CGH-array, al fine di identificareeventuali comuni delezioni o amplificazioni di materialegenetico anche di dimensioni molto piccole.Bibliografia1Saitou N, et al. Mol Bio Evol 1987;4:406-425.2Kumar S, et al. Bioinformatics 2001;17:1244-5.Espressione della dentin matrix protein (DMP-1) nel carcinoma mammario: possibile ruoloprognosticoE. Bucciarelli, V. Castronovo * , A. Bellahcène * , G. Bellezza,G. Brachelente, A. Cavaliere, M. Scheibel, A. SidoniIstituto di Anatomia Patologica, Divisione di Ricerche sulCancro, Università degli Studi di Perugia; * Center for ExperimentalCancer Research, Metastasis Research LaboratoryUniversity of Liége, BelgiumIntroduzioneLe cellule del carcinoma della mammella posso produrre glicoproteineproprie della matrice ossea che conferirebberoproprietà osteomimetiche alle cellule stesse rendendo possibileil loro impianto nelle ossa. Tra le glicoproteine più studiatevanno ricordate la Bone Sialoprotein (BSP), l’Osteonectina,l’Osteopontina e l’Osteocalcina mentre per la DentinMatrix Protein (DMP-1) sono disponibili pochi dati in letteratura.MetodiSono stati esaminati 150 casi di carcinoma della mammellacon un follow-up medio di 67 mesi (range 5-121). Cinquantadelle pazienti erano libere da malattia, 50 presentavanometastasi viscerali e 50 avevano metastasi viscerali ed ossee.Sono state rivalutate le caratteristiche anatomopatologichedelle neoplasie ed è stata ricercata l’espressione immunoistochimicadella BSP e della DMP-1 valutando la percentuale di

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