il carciofo - Coltura & Cultura
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investita a <strong>carciofo</strong> era di 818 ha e rappresentava <strong>il</strong> 6,5% del<br />
totale nazionale che era pari a 12.600 ha. All’epoca la Sic<strong>il</strong>ia era<br />
leader indiscussa con quasi <strong>il</strong> 40% della superficie nazionale,<br />
seguita da Lazio, Toscana e Sardegna. Con l’espansione della<br />
coltivazione del <strong>carciofo</strong> nella Piana del Sele, a partire dagli anni<br />
Cinquanta del secolo scorso e dalle aree vicine ai famosi templi,<br />
si raggiunse la massima superficie di 3200 ha e una produzione<br />
totale di circa 35.000 t alla fine anni Settanta, per stab<strong>il</strong>izzarsi<br />
intorno ai 2500 ha degli anni Novanta, giunti fino ai nostri giorni<br />
a rappresentare quasi <strong>il</strong> 5% della superficie e l’8% della produzione<br />
nazionale.<br />
Con quasi 2000 ha la Piana del Sele, in provincia di Salerno,<br />
e in particolare la zona di produzione di Capaccio-Paestum, è<br />
assurta al ruolo di leader regionale. Qui viene coltivato l’ecotipo<br />
denominato Tondo di Paestum, <strong>il</strong> quale altro non è che <strong>il</strong><br />
Carciofo di Castellammare (ex C. di Schito), che in seguito sarà<br />
rinominato Carciofo di Paestum e con questo appellativo viene<br />
coltivato prevalentemente anche nei Comuni di Agropoli, Battipaglia,<br />
Eboli, Bellizzi, Pontecagnano Faiano e Serre.<br />
Tipologia<br />
Pur essendo in condizioni di ambiente meridionale, la coltivazione<br />
del <strong>carciofo</strong> in Campania è rappresentata esclusivamente da<br />
varietà, o meglio da ecotipi, a produzione tardiva o primaver<strong>il</strong>e;<br />
cioè da piante che hanno bisogno del colpo di freddo per differenziare<br />
l’apice caulinare da vegetativo a riproduttivo ed emettere,<br />
quindi, <strong>il</strong> capolino principale e, a seguire, quelli secondari. Il<br />
tentativo di introdurre i tipi di <strong>carciofo</strong> precoci, detti anche rifiorenti,<br />
coltivati in Puglia, Sic<strong>il</strong>ia e Sardegna, non ha mai avuto esito<br />
felice per i violenti danni da freddo che subiscono le piante in<br />
produzione durante i mesi invernali. Quindi, la classica tipologia<br />
di <strong>carciofo</strong> campano fa riferimento a quella denominata Romanesco,<br />
caratterizzata da piante a taglia grande, con grandi foglie<br />
basali a formare la rosetta, che può raggiungere <strong>il</strong> mezzo metro<br />
di altezza e quasi un metro con <strong>il</strong> capolino principale sostenuto<br />
da un robusto peduncolo o stelo. Il peso dei capolini principali<br />
(comunemente chiamati mamme o mammolelle o mammarelle)<br />
varia da 300 a 450 g, mentre i capolini secondari (figli) pesano<br />
150-250 g.<br />
I capolini principali hanno forma sferica o leggermente sub-sferica<br />
(diametro e altezza intorno a 11 cm) e brattee serrate, mentre<br />
i secondari sono tendenzialmente più lunghi con brattee più lasse.<br />
I capolini principali presentano <strong>il</strong> classico foro formato dalle<br />
brattee più esterne. Queste sono inermi con apice arrotondato,<br />
largamente inciso, di colore verde con sfumature viola e acquisiscono<br />
una colorazione rossastra quando vengono coperte con<br />
la tipica coppetta di terracotta (pignatta o pignattello) per impedire<br />
l’accumulo dell’acqua nel capolino. Le brattee interne han-<br />
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<strong>carciofo</strong> in Campania<br />
Carciofo della tipologia Romanesco<br />
coltivato in Campania<br />
Carciofo di Castellammare con coppetta<br />
di terracotta<br />
Capolino del <strong>carciofo</strong> di Paestum