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Ring 099 - Parliamo di Videogiochi

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FIGLI DI UN DIAVOLO MINORE<br />

Colonne portanti dell’originale DMC, i boss <strong>di</strong><br />

questa e<strong>di</strong>zione esaltano, impegnano sino<br />

allo sfinimento ma non rivaleggiano con i<br />

campioni del sommo predecessore. Penalizzati<br />

da una modellazione mai troppo accattivante<br />

e da un combattuto rapporto con la<br />

regia virtuale, risentono soprattutto nell’imperfetto<br />

“incastro” con le abilità <strong>di</strong> Dante. Il<br />

segreto è quasi sempre colpirli alle spalle o<br />

quando abbassano la guar<strong>di</strong>a, ma anche<br />

quando la loro risoluzione richiede un’interazione<br />

fisica più complessa, lasciano sempre<br />

una sensazione <strong>di</strong> incompiutezza e casualità.<br />

Gli equilibrismi sul dorso del Gigapede sono<br />

vertiginosi, ma il rodeo sullo scorpione lavico<br />

del primo capitolo rimane storia a sé. Fin<br />

troppo evidenti, infine, certe fonti <strong>di</strong> ispirazione:<br />

Beowolf, il bestiale guar<strong>di</strong>ano bipede,<br />

non è altri che lo Zodd del manga Berserk.<br />

gla<strong>di</strong>atori e impalpabili felini in agguato negli spazi<br />

raffinati della bio-cattedrale <strong>di</strong> Mallet Island, spiace<br />

comunicare che questa volta si combatte contro<br />

dei… dei… boh, all’interno <strong>di</strong> un… <strong>di</strong> una… boh. Solo<br />

l’ultimissima frazione <strong>di</strong> gioco regalerà vedute<br />

più visionarie ispirate agli scherzi prospettici <strong>di</strong><br />

Maurits Cornelis Escher. Inoltre, benché graziato<br />

dal selettore dei 60hz e da un frame rate generalmente<br />

ancorato ai 60fps, DMC3 sconta una personalità<br />

artistica <strong>di</strong>scutibile e un motore grafico con<br />

prestazioni da prima generazione (c’è tutto: aliasing,<br />

blur, rallentamenti, pessimo texturing, cromatismi<br />

sgradevoli). In altre parole, il terzo DMC è<br />

estraneo alla pulizia video del secondo, e <strong>di</strong>sta anni<br />

luce dalla riuscite sperimentazioni neogotiche<br />

del capostipite. Discorso analogo per la colonna<br />

sonora, una nenia <strong>di</strong> estenuanti ritornelli rauchi<br />

che neanche POP: Spirito Guerriero, solo alla<br />

fine ringalluzzita dalle necessarie cavalcate epicheggianti.<br />

L’opinione <strong>di</strong> chi scrive è che lo stylish gaming<br />

non abbia a che fare soltanto con azioni <strong>di</strong> gioco<br />

che sbeffeggiano la legge <strong>di</strong> gravità, ma che costituisca<br />

un sottogenere del videogiocare in cui ciascuna<br />

componente, interattiva e non, concorra a<br />

inscenare uno spettacolo au<strong>di</strong>ovisivo esteticamente<br />

importante. Senza una cornice immaginifica all’altezza,<br />

senza una colonna sonora che esalti l’azione<br />

contenuta, senza animazioni che ricreino l’eleganza<br />

del bel gesto atletico, non si può parlare <strong>di</strong> stylish<br />

a tutto tondo. Piuttosto che l’eccentrico lord sbruffone<br />

dell’esor<strong>di</strong>o, il giovanissimo Dante <strong>di</strong> questo<br />

prequel è uno starnuto della MTV generation: bat-<br />

tuta facile e sorriso da spot, ma sotto sotto carente<br />

nei fondamentali, ve<strong>di</strong> la sgraziata posa rannicchiata<br />

che assume durante il fuoco aereo o l’approssimativa<br />

posizione <strong>di</strong> parata dello stile Royal<br />

Guard. Fortunatamente, il parco animazioni del<br />

protagonista è talmente vasto e perlopiù riuscito<br />

da autorizzarci a chiudere un occhio su certe cadute<br />

<strong>di</strong>… stile.<br />

Se la certezza <strong>di</strong> un gameplay granitico può comunque<br />

rassicurare il partito dei “me ne sbatto<br />

della grafica”, tre elementi critici si intromettono a<br />

ri<strong>di</strong>mensionare sensibilmente il piacere della lotta<br />

pura: regia virtuale, sistema <strong>di</strong> lock-on e bilanciamento<br />

della <strong>di</strong>fficoltà.<br />

La telecamera non funziona, c’è poco da fare.<br />

Nemici costantemente esclusi dalla scena sono liberi<br />

<strong>di</strong> attentare in<strong>di</strong>sturbati all’incolumità <strong>di</strong> Dante,<br />

peccato veniale nelle situazioni <strong>di</strong> massa, ma<br />

reato capitale nel momento in cui gli avversari sono<br />

solo un paio. Il sistema deputa al giocatore<br />

l’onere <strong>di</strong> supplire alle deficienze della regia automatica,<br />

assegnando allo stick destro la rotazione<br />

della visuale (laddove concessa); tuttavia, questa<br />

possibilità è parzialmente vanificata dalla lentezza<br />

della camera manuale e dal sovraccarico <strong>di</strong> azioni<br />

che gravano sulla mano destra, già alle prese con<br />

sei pulsanti.<br />

L’agganciamento del bersaglio viene ancora una<br />

volta attivato dal tasto R1, demandando a L3 il<br />

trasferimento del mirino da un avversario all’altro.<br />

Il problema è che ciò avviene senza obbe<strong>di</strong>re a criteri<br />

<strong>di</strong> prossimità o criticità. In un gioco dai ritmi<br />

telecinetici come DMC3 non è ammissibile che per<br />

incrociare un attacco in arrivo sia necessario passare<br />

in rassegna tutti i soggetti nei paraggi. In<br />

ZOE2 il sistema è analogo: R1 per il lock-on <strong>di</strong><br />

primo livello, L2 perché l’intelligenza artificiale inquadri<br />

puntualissima l’obiettivo secondario più impellente.<br />

In ZOE2 funziona, in DMC3 no. Risultato:<br />

nelle situazioni <strong>di</strong> mischia si rinuncia spesso al<br />

lock-on ripiegando sull’in<strong>di</strong>rizzo manuale dei colpi.<br />

La <strong>di</strong>fficoltà è argomento spinosissimo. Confidando<br />

nell’abilità del giocatore occidentale me<strong>di</strong>o<br />

(?), Per le e<strong>di</strong>zioni occidentali Capcom ha deciso <strong>di</strong><br />

imbastar<strong>di</strong>re il livello ‘normal’ della versione giapponese,<br />

eliminando altresì i checkpoint da cui ripartire<br />

infinite volte in caso <strong>di</strong> decesso. Morale? Un<br />

livello facile giustamente soft, e un livello normale<br />

impietoso, anche per chi ha completato l’originale<br />

DMC ai livelli più elevati. Questo inizialmente. Da<br />

metà gioco in poi la curva <strong>di</strong> <strong>di</strong>fficoltà si affloscia<br />

inspiegabilmente tornando su livelli accettabilissimi.<br />

Ma signori, che Via Crucis muovere i primi passi<br />

nell’avventura ripetendo la stessa missione cinque-sei<br />

volte prima <strong>di</strong> avere la meglio sul boss <strong>di</strong><br />

turno! A complicare il tutto pesa l’avarizia con cui<br />

vengono elargiti i ‘continue’ e gli oggetti curativi<br />

(anche acquistabili, ma a prezzi esorbitanti). Certo,<br />

ripetere ogni missione un paio <strong>di</strong> volte dopo<br />

averla risolta garantirà i potenziamenti necessari a<br />

destreggiarsi nella successiva con relativa <strong>di</strong>sinvoltura;<br />

ma come già sottolineato, la ripetitività delle<br />

situazioni scoraggia questo approccio, che tanto<br />

puzza <strong>di</strong> backtracking travestito da componente<br />

RPG. Per contro, il gioco si gode assai <strong>di</strong> più a una<br />

seconda tornata lampo, confortata dai poteri già<br />

acquisiti nel corso del primo giro e con il pepe aggiunto<br />

dal livello <strong>di</strong> <strong>di</strong>fficoltà superiore. Tuttavia, il<br />

nostro messaggio è questo: DMC3 è roba hardcore,<br />

entrate a vostro rischio e pericolo.<br />

Per i fanatici della <strong>di</strong>etrologia, ci sentiamo <strong>di</strong> non<br />

in<strong>di</strong>care in Shinji Mikami il grande assente <strong>di</strong> cui<br />

questa serie denuncia l’assenza da quando la cari-<br />

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