Ring 099 - Parliamo di Videogiochi
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che necessita soprattutto <strong>di</strong> protagonisti carismatici<br />
con i quali far interagire l’utente. Tuttavia quello<br />
che spesso accade è che i personaggi vengano caratterizzati<br />
facendo un pesante uso <strong>di</strong> cliché:<br />
l’eroe, la spalla, l’eterna fidanzata, l’acerrimo rivale,<br />
l’animale parlante. Senza una solida base narrativa,<br />
personaggi del genere non possono che originare<br />
intrecci molto simili tra loro. Le storie nei<br />
videogiochi tendono infatti a seguire più o meno le<br />
solite linee evolutive, spesso riconducibili a quelle<br />
dei manga <strong>di</strong> combattimento.<br />
“Solitamente ogni protagonista <strong>di</strong> questo genere<br />
<strong>di</strong> manga inizia le sue avventure da inesperto”<br />
spiega Andrea Baricor<strong>di</strong>, “una vera e propria lavagna<br />
vuota su cui saranno gli eventi stessi a scrivere<br />
la storia del personaggio. Pochissimi sono i<br />
manga in cui il protagonista conosce già ciò che sta<br />
per accadergli, o in cui, se non altro, ha già a <strong>di</strong>sposizione<br />
certe abilità o certi poteri che lo aiuteranno<br />
a superare le avversità. E, anche in questi<br />
casi, ciò che viene raccontato è comunque un percorso<br />
<strong>di</strong> crescita, <strong>di</strong> accumulo <strong>di</strong> esperienza, <strong>di</strong> capacità,<br />
<strong>di</strong> amici e/o compagni <strong>di</strong> viaggio, <strong>di</strong> presa<br />
<strong>di</strong> coscienza e <strong>di</strong> responsabilità. In maniera molto<br />
velata, ad<strong>di</strong>rittura quasi involontaria, ogni autore<br />
giapponese tende a far compiere ai propri personaggi<br />
questo genere <strong>di</strong> percorso, anche grazie al<br />
fatto che fin dal primo episo<strong>di</strong>o <strong>di</strong> un manga si sa<br />
perfettamente che prima o poi ci sarà una conclusione,<br />
a <strong>di</strong>fferenza dei fumetti seriali europei o statunitensi.<br />
Tutto deve avere un inizio e una fine,<br />
insomma. E, in qualche modo, al termine <strong>di</strong> una<br />
storia un personaggio sarà comunque cambiato, in<br />
bene o in male, a seconda <strong>di</strong> ciò che ha vissuto.<br />
Alla fine dei conti, anche nei manga dove più si<br />
combatte o in quelli più intrisi <strong>di</strong> avventura allo<br />
stato puro, l’elemento più importante e <strong>di</strong>stintivo è<br />
proprio questo, la crescita”.<br />
Un percorso <strong>di</strong> crescita presente praticamente in<br />
tutti i videogiochi <strong>di</strong> avventura, da Zelda a Final<br />
Fantasy, e non sono certo gli unici aspetti in comune:<br />
“Solitamente viene usata la formula del<br />
viaggio per permettere ai personaggi <strong>di</strong> affrontare<br />
nuove sfide, <strong>di</strong> uscire dai propri confini geografici e<br />
mentali. Il viaggio permette il confronto con culture<br />
<strong>di</strong>verse dalla propria, abitu<strong>di</strong>ni, mo<strong>di</strong> <strong>di</strong> fare e <strong>di</strong><br />
vivere. C’è una sorta <strong>di</strong> epica moderna, nei manga,<br />
dove il corrispettivo del Santo Graal occidentale<br />
non è la cerca <strong>di</strong> un oggetto simbolico (o a volte, lo<br />
è, come in Dragon Ball), ma <strong>di</strong> qualcosa legato al<br />
protagonista stesso, alla propria con<strong>di</strong>zione, alla<br />
salvezza <strong>di</strong> una o più persone a esso legate (ve<strong>di</strong><br />
Le Bizzarre Avventure <strong>di</strong> JoJo, o anche One<br />
Piece)”.<br />
I videogiochi tratti da Capitan Tsubasa hanno cercato <strong>di</strong><br />
riprodurre la complessità <strong>di</strong> una partita <strong>di</strong> calcio <strong>di</strong> Holly e<br />
Benji introducendo menù a ten<strong>di</strong>na come nei JRPG. Il risultato<br />
è un’azione frammentata e poco <strong>di</strong>vertente. La<br />
medesima sorte è toccata ai tie-in <strong>di</strong> Slam Dunk.<br />
COSA PUO’ ANCORA<br />
OFFRIRE IL FUMETTO<br />
L’onomatopea<br />
Si tratta <strong>di</strong> un artificio che restituisce la percezione<br />
del suono in un me<strong>di</strong>um, il Fumetto, che non<br />
ne <strong>di</strong>spone. È una comunicazione aggiuntiva fondamentale<br />
per lo story-telling: una vignetta completamente<br />
nera, eccetto due “snikt”, racconta<br />
perfettamente ciò che sta accadendo.<br />
In XIII l’onomatopea serve anche per assicurare<br />
al giocatore la percezione tri<strong>di</strong>mensionale del<br />
suono. È una tecnica che attenua quel senso <strong>di</strong><br />
smarrimento tipico degli FPS e può essere usata,<br />
con opportune variazioni grafiche, anche in giochi<br />
non riconducibili ai fumetti.<br />
Il team-up<br />
Il team-up è l’incontri <strong>di</strong> due o più personaggi <strong>di</strong><br />
serie <strong>di</strong>verse, che si coalizzano contro la minaccia<br />
<strong>di</strong> turno. Il team up è un espe<strong>di</strong>ente classico del<br />
fumetto dei supereroi e serve a far conoscere<br />
nuovi personaggi ai lettori. Applicato ai videogiochi,<br />
il team up avrebbe un potenziale enorme.<br />
Basti pensare ad un platform con protagonisti<br />
Sonic e Mario, oppure uno stealth game in cui<br />
Solid Snake e Sam Fisher indagano sui fatti <strong>di</strong><br />
Black Mesa.<br />
Il cliffhanger<br />
L’interruzione della vicenda sul più bello, in seguito<br />
ad una rivelazione o alla vigilia <strong>di</strong> una scena<br />
madre. Secondo Leo Ortolani: “[Il cliffhanger] ha<br />
la doppia funzione <strong>di</strong> incuriosire il lettore a comprare<br />
l'albo successivo e <strong>di</strong> finire comunque in<br />
bellezza, con un colpo <strong>di</strong> scena, la storia che non<br />
si riesce a narrare su un unico albo, per questioni<br />
semplici come il fatto che più <strong>di</strong> tante pagine al<br />
mese un autore non può fare. Ha i suoi pregi, è<br />
ovvio, perché uno poi si aspetta <strong>di</strong> vedere come<br />
la situazione si sblocca, e l'attesa fa crescere le<br />
aspettative. L'unico <strong>di</strong>fetto è quando le aspettative<br />
dell'albo seguente non sono sod<strong>di</strong>sfatte da<br />
una risoluzione almeno pari, in genialità, con il<br />
colpo <strong>di</strong> scena”.<br />
Nonostante la natura seriale <strong>di</strong> molti titoli, il<br />
Videogioco conta pochissimi cliffhanger veri e<br />
propri. La scelta ricade nella maggior parte dei<br />
casi nei finali aperti, nei quali la vicenda a tutti gli<br />
effetti si conclude, ma ciononostante viene lasciato<br />
un margine <strong>di</strong> incertezza necessario per un sequel.<br />
Uno dei migliori finali aperti mai apparsi un<br />
videogioco è senz’altro il volo verso l’ignoto del<br />
protagonista <strong>di</strong> Another World. Tra i pochi cliffhanger<br />
segnaliamo invece i finali <strong>di</strong> XIII e <strong>di</strong><br />
Shenmue 2, proprio a ridosso <strong>di</strong> sequenze fondamentali.<br />
In altri casi, ad esempio Soul Reaver,<br />
più che precisa scelta narrativa si può parlare<br />
<strong>di</strong> finale volutamente troncato per non<br />
ritardare ulteriormente il rilascio dell’opera.<br />