La statua nella polvere. - GIORGIO ROVERATO

Quarant’anni fa, con una mia collega, Lia Umberta Biagi, ero in un
gruppo di laurea parte di un collettivo comunista che si occupava
dello studio della città composto da una quarantina di studenti; il
gruppo di laurea, formato da quattro studenti (Bassetti, Biagi, Mion
e Norzi) di architettura di Venezia, decise di concludere l’iter di
studi approfondendo le problematiche della ricerca scientifica anche
nel campo dell’architettura per demistificarne l’uso mercantile
nei rapporti di produzione e di scambio e verificando, a contatto diretto
con la realtà, in relazione alle esperienze di conflitto sociale e
territoriale, le possibili vie per conquistare, costruire una città libera,
equa e solidale.
Di qui la scelta di Valdagno, di circa un anno (il 1968 e i primi
mesi del ’69) di ricognizione sul campo (ne scrive efficacemente Tina
Merlin in un articolo dell’aprile ’69 nel Contemporaneo di Rinascita) a
fronte di un passaggio estremamente critico per i processi di ristrutturazione
produttiva (espulsione continua di lavoratori, aumento dell’assegnazione
dei macchinari e dei ritmi, impossibilità di raggiungere
i minimi di cottimo) che investivano la grande fabbrica fordista in
particolare dall’autunno 1967 agli scioperi del ’68, al 19 aprile e poi
agli scioperi e alla dura occupazione dei primi mesi del ’69, con effetti
di coinvolgimento nella lotta della società civile: studenti, comitati
di cittadini… la realtà provinciale e regionale (ricordo la protesta
degli studenti universitari a Venezia presso la sede della redazione
del giornale vicentino, contro l’informazione falsa sui fatti del 19
aprile, con intervento della polizia anche in quell’occasione).
* Architetto.
Relazione
di Giampaolo Bassetti *
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