Per la stagione 2008/2009 sono operanti due Comitati Consultivi IN ...
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sua amica del cuore, figlia di un pezzo grosso del fascio.<br />
Folle di gelosia- ma è una follia silenziosa, sommessa<br />
come tutto il film - Giovanna uccide l’amica e finisce in<br />
manicomio criminale, mentre <strong>la</strong> vendetta dei maggiorenti<br />
bolognesi si abbatte come una mannaia sul<strong>la</strong> famiglia.<br />
Marito e moglie si separano, e lui resterà sempre con<br />
Giovanna, per tutta <strong>la</strong> vita. Girato in uno stile ‘all’antica’,<br />
con una fotografia (di Pasquale Rachini, assai bel<strong>la</strong>) che<br />
mira al bianco e nero, “Il papà di Giovanna” è uno dei<br />
migliori film di Pupi Avati: per chi apprezza il regista<br />
bolognese, una garanzia.<br />
La Stampa - Lietta Tornabuoni - 12/09/<strong>2008</strong><br />
Silvio Or<strong>la</strong>ndo è stato premiato come miglior attore al<strong>la</strong><br />
Mostra di Venezia per <strong>la</strong> straordinaria interpretazione di<br />
un padre professore che ama e protegge troppo, con attenzione<br />
ossessiva, <strong>la</strong> figlia adolescente Alba Rohrwacher,<br />
poco equilibrata, studentessa nello stesso liceo di Bologna<br />
1938. E’ un personaggio bellissimo: frustrato (allievo del<br />
pittore Giorgio Morandi, neppure s’è avvicinato da lontano<br />
al grande modello), nevrotico, capace di rappresentare<br />
interamente <strong>la</strong> meschinità angusta del<strong>la</strong> picco<strong>la</strong> borghesia<br />
italiana ai tempi del fascismo, timoroso che l’eccentricità<br />
del<strong>la</strong> figlia possa nuocere al<strong>la</strong> sua rispettabilità e insieme<br />
fortemente legato a lei. Le resta accanto sempre, attraverso<br />
i momenti più tragici: un esempio di paternità appassionata<br />
e insieme ma<strong>la</strong>ta. La ragazza, infatti, niente affatto<br />
innamorata del padre ma del<strong>la</strong> madre che <strong>la</strong> ignora,<br />
diventa assassina per gelosia, a colpi di rasoio, del<strong>la</strong><br />
migliore amica e compagna di scuo<strong>la</strong>, viene processata e<br />
ricoverata in manicomio criminale.<br />
Tutta <strong>la</strong> parte del film che racconta il rapporto padre-figlia<br />
è molto bel<strong>la</strong>. La seconda parte, segnata da materiali di<br />
repertorio, da eventi di guerra e dopoguerra (bombardamenti,<br />
Liberazione, processi sommari contro gerarchi fascisti,<br />
fuci<strong>la</strong>zioni) è banale, conclusa da un finale giusto e<br />
deludente. S’è sempre detto che Avati è un ottimo direttore<br />
di attori: anche stavolta Or<strong>la</strong>ndo è magnifico. E’ brava pure<br />
Alba Rohrwacher. E’ bravo Ezio Greggio, nel<strong>la</strong> sua prima<br />
parte drammatica: già in precedenza, con Abatantuono,<br />
Boldi, Marcorè, Kartia Ricciarelli, il regista aveva mostrato<br />
<strong>la</strong> sua bravura nell’utilizzare in modo inconsueto gli attori.<br />
Ezio Greggio, del<strong>la</strong> polizia politica, è un buon uomo innamorato<br />
del<strong>la</strong> moglie di Or<strong>la</strong>ndo, Francesca Neri, e sua suocera<br />
nel<strong>la</strong> sedia a rotelle è Serena Grandi.<br />
Molto bel<strong>la</strong> pure l’ambientazione, in appartamenti un po’<br />
tetri con troppe porte e finestre, senza il minimo cedimento<br />
alle mode rétro: una vera lezione.<br />
Il Messaggero - Fabio Ferzetti - 12/09/<strong>2008</strong><br />
Un padre apprensivo, una figlia complessata, una madre<br />
indifferente. E <strong>la</strong> cappa di conformismo e paura stesa dal<br />
101<br />
fascismo sulle eterne piccinerie del<strong>la</strong> nostra picco<strong>la</strong> borghesia.<br />
Trentasettesimo titolo di una carriera ormai quarantennale,<br />
“Il papà di Giovanna” è uno dei film più ambiziosi<br />
di Avati. <strong>Per</strong> <strong>la</strong> complessità del disegno, per le<br />
dimensioni produttive, per il cast mobilitato intorno a questa<br />
storia di rancori personali che degenerano in tragedia<br />
sullo sfondo di ben altri eventi storici. Non si svolgesse fra<br />
il ‘38 e il ‘45, con un epilogo addirittura negli anni ‘50, <strong>la</strong><br />
storia di Giovanna potrebbe uscire dalle cronache di questi<br />
giorni. Con <strong>la</strong> giovane bruttina corrosa dal desiderio di<br />
apparire (Alba Rohrwacher), il padre onesto ma pronto a<br />
ogni bassezza per favorir<strong>la</strong>, tanto più che insegna storia<br />
dell’arte nel suo stesso liceo (Silvio Or<strong>la</strong>ndo); e <strong>la</strong> madre<br />
casalinga frustrata, chiusa nel<strong>la</strong> sua inutile bellezza<br />
(Francesca Neri).<br />
Ma siamo in pieno Ventennio, i meccanismi dell’esclusione<br />
sociale <strong>sono</strong> più rozzi e insieme più vistosi che oggi,<br />
quel<strong>la</strong> figlia poco attraente e pure un po’ stramba, dunque<br />
destinata a restare zitel<strong>la</strong>, è ancora una vergogna se non<br />
una disgrazia. Vissuta dai genitori con modalità opposte<br />
ma altrettanto nefaste. Distanza e diffidenza da parte del<strong>la</strong><br />
madre. Complicità smodata da parte del padre, che per<br />
amore non vede <strong>la</strong> ferita e tantomeno <strong>la</strong> follia del<strong>la</strong> figlia,<br />
capace di uccidere <strong>la</strong> migliore amica per gelosia e senza<br />
dare mai segno di pentimento, neanche in tribunale.<br />
Cavare grandezza se non eroismo da una vicenda così soffocante<br />
era arduo. Eppure Avati ci prova nobilitando tutto<br />
e tutti, cattolicamente, col sacrificio. È perché sacrifica<br />
ogni bene a quel<strong>la</strong> figlia infelice, spingendo perfino <strong>la</strong><br />
moglie fra le braccia del vicino Ezio Greggio, bonario ma<br />
ambiguo poliziotto fascista, che il patetico professorino<br />
(Or<strong>la</strong>ndo è davvero strepitoso) riscatta l’intera famiglia<br />
dopo aver sceso uno ad uno, con <strong>la</strong> confessione del<strong>la</strong> figlia<br />
e <strong>la</strong> sua reclusione in manicomio, tutti i gradini del<strong>la</strong><br />
degradazione sociale.<br />
Intanto, si capisce, gli anni passano. Anche se Avati si<br />
concentra sul privato relegando <strong>la</strong> Grande Storia sullo<br />
sfondo. Così a dire <strong>la</strong> chiusura del Par<strong>la</strong>mento, le leggi<br />
razziali, <strong>la</strong> guerra, basta qualche battuta o titolo di giornale.<br />
Solo i bombardamenti <strong>la</strong> fame, le rovine, finiscono<br />
sullo schermo. Mentre <strong>la</strong> lunga fuci<strong>la</strong>zione di Greggio,<br />
pronto a rinnegare tutto per salvare <strong>la</strong> pelle, sembra sintetizzare<br />
il giudizio morale su una <strong>stagione</strong> (curioso<br />
però: <strong>la</strong> violenza fascista resta fuori campo, quel<strong>la</strong> partigiana<br />
si vede).<br />
Ma forse il vero tema del film è il trasformismo, l’ipocrisia,<br />
l’indifferenza che per Moravia era alle origini del consenso<br />
al fascismo e che Avati invece, nell’ottica piccolo<br />
borghese che gli è cara, vede agire sui <strong>due</strong> fronti, salvo poi<br />
chiudere tutto con uno stonato embrassons-nous. Troppa<br />
carne al fuoco per un film solo. Si esce pensierosi ma<br />
insoddisfatti.