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Per la stagione 2008/2009 sono operanti due Comitati Consultivi IN ...

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La Repubblica - Roberto Nepoti - 30/05/<strong>2008</strong><br />

Soddisfazione per il doppio riconoscimento al cinema italiano<br />

dal festival di Cannes. La fotografia che ritrae insieme<br />

Matteo Garrone regista di “ Gomorra “ e Paolo Sorrentino<br />

resterà nel<strong>la</strong> memoria. Ognuno ha <strong>la</strong> sua spiccata personalità<br />

ma <strong>la</strong>nciano insieme un messaggio di novità: con loro il<br />

cinema italiano recupera una credibilità che aveva perso e<br />

che ha pazientemente ricostruita. Il 38enne Sorrentino e il<br />

40enne Garrone <strong>sono</strong> <strong>la</strong> voce di un’intera comunità e di <strong>due</strong><br />

generazioni che hanno <strong>la</strong>vorato sodo, a lungo in mezzo al<br />

disprezzo.<br />

Con i loro potentissimi film il cinema italiano ritrova <strong>la</strong><br />

capacità di raccontare il proprio paese. E ritrova uno sguardo<br />

sicuro, un punto di vista deciso, un profilo marcato, un’identità<br />

riconoscibile. Paolo e Matteo provengono da un<br />

cinema di ricerca, nel quale il problema del<strong>la</strong> forma è molto<br />

sentito. Lo hanno dimostrato nelle loro opere precedenti,<br />

talvolta scivo<strong>la</strong>ndo nell’esercitazione di stile. Con<br />

“Gomorra” e “Il Divo” hanno compiuto un grande balzo in<br />

avanti. Senza arretrare di un passo nel<strong>la</strong> loro esigente attenzione<br />

al linguaggio, hanno preso di petto contenuti forti, si<br />

<strong>sono</strong> immersi senza reticenze nell’aria del tempo. Due risultati<br />

in cui è <strong>la</strong> forma a qualificare i contenuti e non viceversa.<br />

“Il Divo”, che speriamo circondato dalle stesse aspettative<br />

dell’altro - trattano ambe<strong>due</strong> temi molto presenti nell’immaginario<br />

e nel<strong>la</strong> storia italiani - riesce nel<strong>la</strong> sfida di ritrarre<br />

un personaggio di cui tutto è stato già detto procurando<br />

l’impressione che tutto sia inedito, originale. Frutto di un<br />

calibrato mix tra documento e invenzione. Dove è l’invenzione,<br />

<strong>la</strong> libera utilizzazione del materiale o <strong>la</strong> sua manipo<strong>la</strong>zione<br />

creativa a imprimere forza al film. Le persone più<br />

vicine a Giulio Andreotti, i capi del<strong>la</strong> sua corrente, esprimono<br />

un alone sinistro e cupo che è conseguenza dell’interpretazione<br />

artistica ma non per questo perde in attendibilità.<br />

Il colloquio tra Andreotti ed Eugenio Scalfari è inventato,<br />

ma come rende l’idea quell’appel<strong>la</strong>rsi del senatore al<strong>la</strong><br />

complessità delle cose, in risposta alle domande incalzanti<br />

del giornalista, e <strong>la</strong> sua esortazione a evitare le scorciatoie<br />

semplicistiche nel condannarlo. Non sarà vero in senso<br />

stretto ma quanta verità c’è nel passaggio in cui il presidente<br />

confessa il dolore cui lo condannano il pensiero di Moro<br />

e <strong>la</strong> domanda ‘perché le Br non hanno preso me?’. E poi<br />

quello in cui egli assume <strong>la</strong> responsabilità di una pratica del<br />

Male che è servita a preservare, difendere, promuovere il<br />

Bene.<br />

Un film complesso, discutibile come qualsiasi opera che<br />

tocca argomenti tanto sensibili, dove <strong>la</strong> figura più nota di<br />

tutta <strong>la</strong> storia repubblicana, milioni di volte caricaturizzata<br />

per le sue inconfondibili caratteristiche fisiche, ci appare<br />

per <strong>la</strong> prima volta nel<strong>la</strong> sua enigmatica dimensione umana<br />

e nel<strong>la</strong> sua statura di moderno “Nosferatu”. Le forzature, le<br />

invenzioni, non mancano di restituirci un ritratto denso, realistico<br />

e indimenticabile. Il massimo di deformante soggettività<br />

produce il massimo di documento. Come fu per “La<br />

dolce vita”.<br />

Il Messaggero - Fabio Ferzetti - 23/05/<strong>2008</strong><br />

Grandi risate all’inizio, attenzione concentrata, intenso<br />

app<strong>la</strong>uso finale. “Il divo” di Paolo Sorrentino passa l’esame<br />

del<strong>la</strong> stampa internazionale. Non era facile, per ciò che racconta<br />

e per le immagini che usa, forti e talvolta grottesche.<br />

Andreotti con <strong>la</strong> faccia irta di aghi contro l’emicrania che<br />

sembra uscito dal film dell’orrore “Hellraiser”. Cirino<br />

55<br />

Pomicino neoministro che prende <strong>la</strong> rincorsa e si concede<br />

una lunga, bambinesca scivo<strong>la</strong>ta nel Transat<strong>la</strong>ntico di<br />

Montecitorio. Il cadavere di Roberto Calvi, il presidente del<br />

Banco Ambrosiano ritrovato impiccato nel 1982 a Londra,<br />

che sembra stare in piedi e fissarci. L’automobile di Falcone<br />

proiettata in alto dal<strong>la</strong> bomba che cade, cade, cade, come un<br />

meteorite, poi esplode. E ancora: Andreotti e signora impettiti<br />

sul divano mentre intorno a loro l’a<strong>la</strong> gaudente del<strong>la</strong><br />

Roma di governo si sfrena bal<strong>la</strong>ndo ritmi africani con<br />

ragazze poco vestite. Andreotti che legge un giallo a letto<br />

sotto un gran ritratto di Marx. Andreotti che riceve i membri<br />

del<strong>la</strong> sua corrente mentre si fa radere, in stile “Padrino”.<br />

Andreotti che gira per casa di notte come Nosferatu. O<br />

come l’usuraio de “L’amico di famiglia”, il film precedente<br />

di Paolo Sorrentino, che dopo aver raccontato mestatori in<br />

ombra o senza volto, sceglie il simbolo stesso del Potere per<br />

cercare di sciogliere questo enigma così domestico e indecifrabile<br />

insieme.<br />

Il ‘divo Giulio’ come icona dell’italianità, dunque. Un<br />

Borgia dei nostri giorni, maschera tragica e centro intoccabile<br />

di tutti i misteri (Montanelli: Andreotti è il più scaltro<br />

criminale o il più grande perseguitato del<strong>la</strong> storia d’Italia).<br />

Ma anche dispensatore di battute leggendarie come <strong>la</strong> sua<br />

insonnia, che nel<strong>la</strong> scena più bel<strong>la</strong> (e più inventata) de “ll<br />

Divo” pronuncia invece una appassionata dichiarazione<br />

d’amore al<strong>la</strong> moglie culminante in una disperata ammissione<br />

di colpa per tutto ‘il male perpetrato per garantire il<br />

bene’ negli anni terribili delle stragi, 1969-1976, con i loro<br />

236 morti e 817 feriti.<br />

Con “Il divo” Sorrentino non solo sferra <strong>la</strong> più violenta<br />

accusa al<strong>la</strong> c<strong>la</strong>sse politica italiana vista dai tempi di “Todo<br />

Modo”, ma cambia le regole del<strong>la</strong> rappresentazione di<br />

quel<strong>la</strong> stessa c<strong>la</strong>sse. Siamo in una specie di ‘quarta dimensione’<br />

dove <strong>la</strong> citazione di nomi, cognomi e soprannomi<br />

(lo Squalo, il Ciarra, il Limone, sua Sanità...) si mesco<strong>la</strong><br />

con effetto ‘pulp’ al<strong>la</strong> deformazione grottesca dei volti (lo<br />

stile del trucco sfiora Dick Tracy), alle immagini d’archivio<br />

(Rosaria Schifani, vedova di un agente ucciso, che<br />

perdona in <strong>la</strong>crime gli assassini di suo marito). E alle sferzanti<br />

lettere dal<strong>la</strong> prigionia di Aldo Moro. L’effetto è<br />

potente, a tratti sconcertante. Scrive Moro: ‘Andreotti è<br />

rimasto indifferente, livido, assente, chiuso nel suo cupo<br />

disegno di gloria... Cosa significava davanti a tutto questo<br />

il dolore insanabile di una vecchia sposa, lo sfascio di una<br />

famiglia, che significava tutto questo per Andreotti una<br />

volta conquistato il Potere per fare il Male, come sempre<br />

ha fatto il Male nel<strong>la</strong> sua vita? Tutto questo non significava<br />

niente’. Intanto <strong>la</strong> colonna <strong>sono</strong>ra alterna l’elettronica a<br />

Vivaldi, i Ricchi e Poveri a Sibelius, ed è questo caos di<br />

forme e di registri che ci resta addosso. Che cosa abbiamo<br />

visto, una farsa, una tragedia, un film dell’orrore? Chissà,<br />

forse non c’era proprio niente da vedere. O magari è il<br />

nul<strong>la</strong> del potere, quello di cui par<strong>la</strong> Moro nel finale, che<br />

Sorrentino e il suo grande cast Servillo, Anna Bonaiuto,<br />

Piera Degli Esposti, F<strong>la</strong>vio Bucci, Carlo Buccirosso ci<br />

hanno chiamati a contemp<strong>la</strong>re.<br />

Il Corriere del<strong>la</strong> Sera - Tullio Kezich - 30/05/<strong>2008</strong><br />

C’era una volta (e c’è ancora, quasi nonagenario...) Giulio<br />

Andreotti, romano, degasperiano, imprescindibile in par<strong>la</strong>mento<br />

dal dopoguerra agli anni ‘ 90, 17 volte ministro,<br />

8 volte presidente del consiglio, senatore a vita dal ‘91.<br />

Processato per associazione mafiosa, ha goduto del<strong>la</strong> prescrizione<br />

per fatti precedenti il 1980 ed è stato assolto per<br />

quelli successivi; condannato a 24 anni come mandante

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