Per la stagione 2008/2009 sono operanti due Comitati Consultivi IN ...
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Il Corriere del<strong>la</strong> Sera - Paolo Mereghetti - 17/05/2007<br />
Non bisogna aver paura del romanticismo per apprezzare<br />
“My Blueberry Nights” di Wong Kar-Wai che ha inaugurato<br />
<strong>la</strong> sessantesima edizione del Festival di Cannes.<br />
Sicuramente non ne ha paura il regista cinese che racconta<br />
con dolcezza e coinvolgimento i dispiaceri d’amore di<br />
Elizabeth (Norah Jones), in fuga da New York e dall’uomo<br />
che dopo cinque anni l’ha <strong>la</strong>sciata per un’altra. Il bisogno di<br />
dimenticare <strong>la</strong> spingerà verso Ovest, al<strong>la</strong> ricerca di una strada<br />
che le faccia finalmente superare il terreno dei rimpianti<br />
e dei ricordi. Non un road movie però, piuttosto un viaggio<br />
iniziatico per e<strong>la</strong>borare il proprio e l’altrui dolore, fatto di<br />
<strong>la</strong>icissime stazioni lungo <strong>la</strong> via crucis del mal d’amore. La<br />
prima è a New York, proprio nel bar che Elizabeth frequentava<br />
con il suo perduto amore: diventerà una specie di rifugio<br />
tra rimpianti e recriminazioni, trasformando il proprietario<br />
(Jude Law) in un confidente/conso<strong>la</strong>tore, per raccontare,<br />
chiedere, interrogare ma anche assaggiare <strong>la</strong> torta ai<br />
mirtilli con ge<strong>la</strong>to (i blueberry del titolo) che contraddistinguerà<br />
i suoi menù notturni. Fino al momento in cui sentirà<br />
il bisogno di allontanarsene il più possibile. La seconda<br />
tappa è Memphis, dove <strong>la</strong>vorando di giorno in una tavo<strong>la</strong><br />
calda e di notte in un bar incrocerà il dolore di un poliziotto<br />
alcolizzato (David Strathairn), incapace di accettare l’abbandono<br />
del<strong>la</strong> moglie (Rachel Weisz). La terza fermata è<br />
nel Nevada, dove finisce per costruire una strana coppia con<br />
una giocatrice di poker (Natalie Portman) che crede di poter<br />
trasformare <strong>la</strong> rego<strong>la</strong> numero uno del gioco - non fidarsi<br />
mai di chi si ha di fronte - in una rego<strong>la</strong> di vita. Soprattutto<br />
nel rapporto col padre. Cambia il sesso del protagonista, ma<br />
il percorso è più o meno quello del giornalista Chow Mowan,<br />
al centro dei suoi precedenti film “In the Mood for<br />
Love” e “2046”: come lui, Elizabeth cerca di capire i contorni<br />
dei suoi sentimenti e scopre <strong>la</strong> difficoltà di trovarli in<br />
sintonia con quelli degli altri. Lei stessa non si accorge che<br />
il barista di New York, a cui ogni tanto manda estemporanee<br />
cartoline, si sta innamorando di lei. E assiste più o meno<br />
impotente all’incapacità di comunicare tra il poliziotto e <strong>la</strong><br />
moglie e tra <strong>la</strong> giocatrice e suo padre. Anche se lontano<br />
dal<strong>la</strong> natia Cina, lo sguardo di Wong si rivelerà meno pessimista<br />
e disilluso. Girato completamente negli Stati Uniti e<br />
par<strong>la</strong>to in inglese, il film ha una struttura molto più lineare<br />
dei precedenti (si sente <strong>la</strong> mano più narrativa del cosceneggiatore<br />
Lawrence Block, formato al rigore dei gialli che<br />
l’hanno reso celebre), ma possiede un’eguale raffinatezza e<br />
intensità visiva. Mai gratuita, però, se si pensa che le complicate<br />
inquadrature del<strong>la</strong> prima parte del film, dove il direttore<br />
del<strong>la</strong> fotografia Darius Khondji sembra abusare coi<br />
riflessi di scritte, luci, oggetti che sfumano l’immagine dei<br />
protagonisti, riescono al<strong>la</strong> fine nel<strong>la</strong> scommessa di rendere<br />
sullo schermo quel velo che spesso annebbia gli occhi di chi<br />
piange. Proprio come succede agli innamorati disperati.<br />
Al<strong>la</strong> fine il racconto di Wong Kar-Wai è meno preda di quel<br />
caos del<strong>la</strong> Storia e dell’instabilità dei sentimenti che avevamo<br />
imparato ad apprezzare in “In the Mood for Love” e in<br />
“2046”. L’occhio del regista sta più addosso alle persone e<br />
ai loro volti, aiutato in questo anche da un gruppo di attori<br />
eccezionalmente in sintonia con il romanticismo struggente<br />
e insieme trattenuto dei suoi personaggi. Chiedendo allo<br />
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spettatore non tanto di identificarsi melodrammaticamente<br />
con i tormenti di Elizabeth ma di seguirne il percorso di<br />
accettazione di sé e di crescita sentimentale. Aiutato anche<br />
da una Norah Jones che non diresti mai un’esordiente<br />
‘strappata’ al<strong>la</strong> canzone.<br />
La Stampa - Lietta Tornabuoni - 01/04/<strong>2008</strong><br />
Il bacio all’inizio e al<strong>la</strong> fine tra Norah Jones e Jude Law ha<br />
una dolcezza, una finezza amorosa, una intensità tenera mai<br />
viste prima: è perciò che in italiano si chiama “Un bacio<br />
romantico” il primo film americano di Wong Kar-Wai, regista<br />
meraviglioso nato a Shanghai, bambino in esilio a Hong<br />
Kong coi genitori, autore di opere emozionanti e perfette<br />
(“Happy Together”, “In the mood for Love”, “2046”). In<br />
inglese il titolo è “My Blueberry Nights”: blueberry significa<br />
mirtilli, e una torta di mirtilli al<strong>la</strong> crema preparata nel<br />
caffè di Jude Law ha appunto una miracolosa funzione di<br />
conforto.<br />
La cantante Norah Jones, al suo primo film, vuol cambiare<br />
il paesaggio interno ed esterno dopo un dolore d’amore e<br />
intraprende un viaggio negli Stati Uniti per <strong>la</strong>sciarsi dietro<br />
le spalle ricordi, sogni e ferite passionali. Da New York<br />
viaggia verso <strong>la</strong> California. Lavora un po’ come cameriera,<br />
conosce persone (un poliziotto tormentato, <strong>la</strong> moglie che<br />
l’ha <strong>la</strong>sciato Rachel Weisz, <strong>la</strong> giocatrice sfortunata Natalie<br />
Portman). Scopre quanti siano più infelici, solitari e vuoti di<br />
lei. Compra un’automobile, torna a New York: da Jude<br />
Law, da se stessa.<br />
Banale? Si fa presto a dirlo. Dal<strong>la</strong> letteraria Alice nel paese<br />
delle meraviglie creata da Lewis Carroll nel 1865 all’escursione<br />
fantastica sul<strong>la</strong> Luna che Georges Méliès realizzò nel<br />
1902 a Parigi introducendo il meraviglioso nel cinema<br />
appena nato, il viaggio è sempre stato una struttura narrativa<br />
ideale: aperta, libera, fitta di avventure e di incontri, portatrice<br />
di immaginazione e di conoscenza del mondo,<br />
attraente per bambini, adulti, infelici, sentimentali, curiosi e<br />
pseudo Robinson Crusoe, mezzo di trasporto ma soprattutto<br />
di conso<strong>la</strong>zione e ardire.<br />
In “Viaggio in Italia” di Roberto Rossellini, 1953, il giro nel<br />
Sud italiano di Ingrid Bergman e George Sanders, coppia di<br />
coniugi inglesi, vince <strong>la</strong> solitudine e <strong>la</strong> noia ristabilendo tra<br />
i personaggi affetto e comunicazione. Il viaggio come arma<br />
contro il disamore, ma pure il viaggio come fuga e ricerca<br />
d’indipendenza: in “Thelma e Louise” di Ridley Scott,<br />
1991, con Susan Sarandon e Geena Davis, <strong>due</strong> amiche,<br />
<strong>la</strong>sciando volentieri a casa i rispettivi uomini, partono in<br />
auto dall’Arkansas per un weekend di libertà, scoprono una<br />
parte di se stesse, scoprono un’altra dimensione del<strong>la</strong> vita e<br />
del<strong>la</strong> morte. Il film resta essenziale e simbolico di ogni servitù<br />
femminile, di ogni lotta femminile per sciogliersi dal<strong>la</strong><br />
schiavitù sociale. Il viaggio di fantasia è dedicato ai bambini:<br />
“La storia infinita” di Wolfgang Petersen, 1984, tratto da<br />
una parte del romanzo di Michael Ende, ospita cani vo<strong>la</strong>nti,<br />
il Nul<strong>la</strong>, sfi<strong>la</strong>te di mostri, il Regno di Fantasia, un bambino<br />
guerriero, paesaggi mirabo<strong>la</strong>nti. Il viaggio spaziale per<br />
ex-astronauti con <strong>la</strong> loro memoria e nostalgia, il loro orgoglio<br />
e <strong>la</strong> resistenza: in “Space Cowboys” di Clint Eastwood,<br />
2000, quattro vecchi ex piloti col<strong>la</strong>udatori si fanno mandare<br />
in orbita, viaggiano nel cielo, riparano un satellite sovie-